Bes(t): una sola T, finale, basterebbe a cambiare lo scenario dell’ultimo Rapporto Istat sul Benessere equo e sostenibile (BES) del 2023. Invece, il quadro evidenzia che non tutto ha raggiunto l’optimum, nonostante il progresso scientifico, il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e di alcuni stili di vita.

Entriamo del dettaglio del rapporto specificatamente agli ambiti di interesse, quali la salute e la qualità dei servizi relativi alla stessa.

I dati

Una vita più lunga, almeno in termine di anni, salita a 83.1, pari a circa 81.1 per gli uomini verso 85.2 per le donne. Anni che si riposizionano ai livelli del 2019 (83.2) dopo la decrescita a 82.3 del 2022. La quantità di anni, tuttavia, non corrisponderebbe ad altrettanta qualità di vita, in peggioramento rispetto agli anni precedenti: nel 2023 la health span, il tempo vissuto in salute, si ferma a 59.2 anni a fronte dei 60.1 anni del 2022, riportandosi ai livelli del 2019, in cui vita libera o con malattia, comunque con un cambiamento dello stile di vita indotto da una condizione patologica era demarcata intorno ai 58.6 anni.

La decrescita del benessere sarebbe da attribuire a diversi fattori: un sensibile peggioramento dal 2020, dall’epoca pandemica, dello status psicologico soprattutto tra i più giovani, in maggiore misura tra le ragazze, le multicronicità, accompagnate spesso da gravi limitazioni, a carico e danno di circa il 49.0% di over 75, 47.8% nel 2021.

In termini di mortalità si osserva un tasso in generale riduzione, seppure condizionato da alcune variabili, prime fra tutte il livello di istruzione: il Rapporto evidenzia nel 2021, in relazione alla mortalità evitabile, cioè prevenibile e trattabile, con stili di vita più salutari e un’assistenza sanitaria adeguata e accessibile, nella popolazione tra 0-74 anni, 19.2 decessi ogni 10mila residenti, in riduzione rispetto ai 19.7 del 2020, tuttavia influenzati dal livello di studio. Essa è, infatti, risultata pari a 39.6 decessi fra coloro con licenza elementare o meno (studio basso), con un decremento sensibile al 20.3 nel cluster di popolazione con titolo di studio più alto (laurea o titolo superiore).

Stesso andamento per mortalità oncologica in una popolazione adulta fra 20-64 anni, si osservano 7.8 decessi per 10mila residenti, in calo rispetto agli 8.0 registrati nel 2020; tasso influenzato da disuguaglianze socioeconomiche, ulteriormente aggravate dal livello di istruzione, più marcate nei maschi con una mortalità di oltre 2 volte superiore fra coloro con bassa scolarità, nelle femmine tale rapporto scende a 1.4.

Anche demenze e malattie del sistema nervoso fanno registrare alti livelli di mortalità fra i pari e/o over 65: sebbene in calo nel 2022 con 33.3 decessi per 10mila abitanti in confronto ai 35.6 del 2020 o ai 33.9 del 2019, il gradiente vede aumentare la mortalità al diminuire del livello di istruzione; un titolo di studio basso si associa a una mortalità 1.2 volte superiore rispetto a una formazione universitaria, indipendentemente dal sesso.

Non ultimo la mortalità su strada: in controtendenza gli incidenti stradali, specie nella popolazione tra 15-34 anni si è attestata nel 2022 a 0.7 per 10mila abitanti in lieve crescita rispetto ai 0.6 casi del 2021, riposizionandosi ai livelli del 2019, con valori più elevati nel Nord-est (0.9) e nelle Isole (0.7) a fronte di numeri più contenuti nel Nord-ovest, Centro e Sud (0.6).

Stili di vita

Italiani da rieducare e sensibilizzare all’adozione e mantenimento di stili di vita sani, “terapeutici” in ottica di prevenzione e trattamento. Migliora la predisposizione a fare movimento: la quota di persone di 14 anni e più sedentarie al 2023 è stimata al 34.2%, a fronte del 36.3% del 2022 e del 35.5% del 2019.

Resta stabile l’eccesso di peso: il rapporto rileva una percentuale del 44.6% di persone a partire dai 18 anni e oltre con problematiche ponderali a fronte, tuttavia, di un dato preoccupante: l’obesità. Quest’ultima darebbe “indici” di peggioramento, con dati che si confermerebbero in aumento nel medio e lungo periodo. Complice anche la cattiva alimentazione che vede una diminuzione del consumo di frutta e verdura: solo il 16.5% di popolazione di 3 anni e più avrebbe mantenuto la buona e sana abitudine di introdurre nella dieta quotidiana almeno quattro porzioni di frutta o verdura, quota lievemente inferiore al 2022, ma con una flessione più marcata se confrontata con i valori fino al 2019.

Preoccupano le abitudini voluttuarie come il tabagismo: sebbene la quota di fumatori abbia subito una lieve flessione rispetto al 2022, assestando al 19.9% dagli over 14 in poi, osserva una crescita costante dal 18.7% del 2019. In parallelo, comportamenti a rischio per uso/abuso di bevande alcoliche/etiliche restano stabili sul 15.6% ma interessano una popolazione già dai 14 anni, a fronte del 15.5% del 2022 e del 15.8% del 2019. Anche in caso di abitudini a rischio impattano alcune variabili: tra queste il genere dove il differenziale si mantiene elevato, maggiore per gli uomini (21.8%) in rapporto alle donne (9.8%). L’età: due le fasce di popolazione a maggior rischio per elevati consumi, i giovani, specificatamente i minori di 14-17 anni (24,5%) e i ragazzi tra 18-24 anni (15,7%) con un introito alcolico eccessivo, specialmente nel fine settimana, e all’opposto i pari o over 65 anni in cui la percentuale si consolida a 18.1% in cui il consumo non moderato è giornaliero.

Inoltre, abitudine al fumo e il consumo non moderato di alcol sono spesso una combinazione: una persona su quattro oltre con comportamenti di abuso alcolico è anche un fumatore a rischio, pari ad esempio al 23.8% nella popolazione di 14 anni e più e valori dimezzati tra i non fumatori (10.8%). Se si considerano i forti fumatori, almeno 20 sigarette al giorno, il valore si eleva al 31.3%.

La qualità dei servizi

Servizi sanitari e socio-assistenziali, di pubblica utilità e di mobilità: sono questi i principali ambiti/indicatori su cui si è basata la valutazione del rapporto. Emergono, e si confermano, ancora una volta criticità persistenti nell’erogazione e fruizione di servizi sanitari.

Si rileva, ad esempio, che nell’ultimo anno sono aumentate le migrazioni ospedaliere in altra regione che dopo la riduzione osservata nel 2020 e 2021, tornando all’8.3% ai livelli pre-COVID; che la quota di medici di medicina generale con a carico un numero di assistiti oltre la soglia massima è in costante aumento, passata dal 36.0% nel 2019 a ben il 47.7% del 2022; la rinuncia in crescita a prestazioni sanitarie ritenute necessarie, con una quota del 7.6% al 2023, in lieve aumento rispetto al 7.0% del 2022. Il 4.5% vi rinuncia a causa delle lunghe liste di attesa, con una quota raddoppiata rispetto 2019 (2.8%) e il 4.2% per motivi economici, in linea con dati precedenti (4.3%) ma che guadagna 1,3 punti percentuali in un solo anno.

Un dato positivo, nella criticità del contesto: nel 2023, le disuguaglianze sociali nella rinuncia a prestazioni mostrano differenziali minori rispetto al periodo pre-COVID e si annullano del tutto tra gli adulti di 45-64 anni: 10.4% tra coloro che hanno solo il titolo di studio della scuola dell’obbligo e 10,6% tra chi ha conseguito almeno una laurea.

Dato positivo, le risorse mediche e infermieristiche crescono nel 2022 a livello medio nazionale, rispettivamente 4.2 medici per 1.000 abitanti e 6.8 infermieri e ostetriche, a fronte dei 4.1 e 6.4 nel 2019, così come l’offerta di posti Ietto a elevata assistenza, saliti da 3.0 nel 2019 a 3.5 nel 2021. Pertanto tirando le somme, l’offerta di servizi sociali e socio-sanitari risulta stabile o in leggero miglioramento, rispetto agli anni 2022 e 2019, sebbene tutto sia ancora perfezionabile, specie in relazione ad alcuni ambiti. Quali i posti letto nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari che rimangono invariati assestandosi sui 70.1 ogni 10.000 abitanti, presumibilmente insufficienti anche in un’ottica di invecchiamento della popolazione e del futuro assetto socio-demografico, mentre aumenta l’assistenza domiciliare integrata per gli anziani, che passa da 2.7% nel 2019 a 3.3% nel 2022.

Un’ultima considerazione merita l’accesso ai servizi essenziali, tra questi farmacie, pronto soccorso, uffici postali o comunali, supermercati, scuole o stazioni di polizia e di carabinieri, di fondamentale importanza per il benessere dei cittadini, invece, difficoltosi con evidenze più accentuate al Sud. Nel triennio 2021-2023, il 4.9% delle famiglie incontra molte difficoltà nel raggiungere tre o più servizi essenziali. L’indicatore migliora lievemente nel tempo, ma in maniera trasversale su tutto il territorio, così che la differenza tra Nord e Sud non accenna ad attenuarsi, a detrimento delle salute generale e specifica.