Responsabilità disciplinare, cosa prevede la deontologia

Sul numero di maggio di Tema Farmacia sono stati approfonditi alcuni temi inerenti alla pubblicità, all’informazione sanitaria e all’attività professionale del farmacista. In questa seconda parte analizzeremo l’attività professionale negli esercizi di vicinato, nell’industria farmaceutica e nelle strutture sanitarie

L’art. 31, comma 1, Codice deontologico, stabilisce che il farmacista responsabile dell’esercizio commerciale di cui all’art. 5, D.L. n. 223/2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248/2006, deve curare che l’esercizio sia organizzato in modo conforme alle normative vigenti.

Il D.L. n. 223/2006 (cosiddetto decreto Bersani), convertito nella legge n. 248/2006, ha apportato notevoli modifiche al settore della distribuzione dei farmaci e della gestione delle farmacie, consentendo, tra l’altro, la nascita delle cosiddette parafarmacie negli esercizi commerciali diversi dalle farmacie, dove i farmaci da banco possono essere venduti esclusivamente alla presenza e con l’assistenza personale di un farmacista iscritto all’Albo. Gli esercizi commerciali sono stati individuati in base ai criteri previsti dal D.Lgs n. 114/1998, interessando:

  • gli esercizi di vicinato, ovvero quelli aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq, nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti, e a 250 mq, nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti;
  • le medie strutture di vendita, ovvero gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente e fino a 1.500 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti;
  • le grandi strutture di vendita, ossia gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente.

Il comma 2, art. 31, ha previsto che le eventuali insegne delle cosiddette parafarmacie devono essere chiare e non ingannevoli, e la relativa croce eventualmente esposta deve essere di colore diverso dal verde.

L’art. 5, D.Lgs. n. 153/2009, ha riservato alle farmacie l’uso della denominazione “farmacia” e l’emblema della croce di colore verde, ritenuti caratteri indispensabili per consentire ai cittadini di identificare facilmente l’esercizio farmaceutico stesso, in quanto presidio sanitario, distinguendolo dagli altri esercizi. In proposito, la circolare del Ministero della Salute 3 ottobre 2006, n. 3 (cosiddetta circolare Turco) aveva precisato che, con riferimento all’insegna nei citati esercizi commerciali, non potessero essere utilizzate denominazioni e simboli tali da indurre il cliente a ritenere che si trattasse di una farmacia.

Il successivo D.M. 9 marzo 2012, relativo alla definizione dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi dell’esercizio commerciale di cui all’art. 5, decreto Bersani, ha previsto che le insegne debbano essere chiare e non ingannevoli e non possano includere l’emblema della croce, di colore verde, in modo da permettere al cittadino di poter distinguere agevolmente il presidio sanitario “farmacia”, che costituisce sede di erogazione del servizio sanitario pubblico, dall’esercizio commerciale “parafarmacia”, a cui rivolgersi per l’acquisto di determinate tipologie di farmaci, quindi, scegliere consapevolmente a quale esercizio indirizzarsi, a seconda delle necessità del caso. In questo senso, il medesimo decreto specifica che all’esterno dell’esercizio commerciale debba essere indicato, chiaramente e con evidenza, la tipologia di medicinali venduti. In materia è intervenuta anche la giustizia amministrativa, la quale, in numerose sentenze (si veda per esempio la sentenza del Tar Lazio n. 7697/2012), ha affermato che le cosiddette “parafarmacie non possono utilizzare la croce verde, di esclusivo appannaggio delle farmacie, ma debbono comunicare la loro esatta denominazione ricorrendo all’utilizzo di simboli e insegne che non risultino ingannevoli per i consumatori”.

Infine, l’art. 31, comma 3, ha previsto che il farmacista responsabile deve assicurare che nelle cosiddette parafarmacie non siano presenti o spedite ricette del Ssn e non siano detenuti o dispensati medicinali con obbligo di ricetta medica, a eccezione di quelli previsti dalla normativa vigente, e qualora non riesca a far rispettare tali disposizioni ha il dovere di segnalare l’inosservanza all’Ordine. La violazione di tali disposizioni potrebbe comportare le sanzioni penali previste dall’art. 3, legge n. 362/1991, per apertura non autorizzata di una farmacia, nonché il provvedimento di immediata chiusura della stessa ordinata da parte della competente autorità sanitaria. Inoltre, nel caso di vendita di medicinali contenenti sostanze psicotrope e stupefacenti, si configurerebbe un’ipotesi di reato perseguibile ai sensi dell’art. 73, D.P.R. n. 309/1990. Nei suddetti reati potrebbe concorrere anche il farmacista responsabile dell’esercizio commerciale e il farmacista che ha dispensato il farmaco non consentito.

Altri profili professionali

Secondo l’art. 32, Codice, il farmacista che esercita la propria attività nell’industria farmaceutica (cioè nel settore della produzione e commercializzazione dei medicinali), deve tutelare la propria autonomia e indipendenza professionale, nel rispetto delle previsioni contenute negli articoli 3 e 5, Codice (che disciplinano rispettivamente “la libertà, indipendenza e autonomia della professione” e “l’attività di sperimentazione e ricerca”).

Ai sensi dell’art. 33, Codice, il farmacista informatore tecnico-scientifico deve promuovere la corretta conoscenza dei farmaci sulla base di esclusive valutazioni scientifiche.

L’art. 34, comma 1, Codice, prevede che il farmacista, il quale eserciti la professione nelle strutture sanitarie pubbliche e private non aperte al pubblico, debba agire su un piano di pari dignità e autonomia con gli altri sanitari e colleghi, con i quali deve instaurare rapporti di costruttiva collaborazione professionale, nel rispetto dei reciproci ruoli.

Il comma 2, art. 34, ha previsto anche che il farmacista, nei rapporti con i colleghi delle farmacie territoriali, deve favorire lo scambio di informazioni che possano consentire la realizzazione di un’assistenza farmaceutica adeguata alle necessità sanitarie nel tempo e nei luoghi in cui opera, nel rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e con spirito collaborativo e di integrazione.

Ai sensi dell’art. 35, comma 1, Codice, il farmacista che esercita la professione nelle strutture sanitarie pubbliche deve vigilare scrupolosamente affinché, ove sia prevista la dispensazione diretta del farmaco al paziente, la consegna sia effettuata soltanto da farmacisti e nel rispetto di quanto previsto dall’art. 14, Codice (principio di libera scelta della farmacia), e deve anche curare che la dispensazione dei farmaci avvenga, su richiesta nominativa per uno specifico paziente con piano terapeutico o in “dose unitaria”, dalle strutture farmaceutiche di propria competenza alle Unità Operative sotto il diretto controllo e la personale responsabilità di un farmacista. Inoltre, nell’allestimento delle preparazioni galeniche effettuate nelle strutture sanitarie pubbliche (si pensi, per esempio, a quelle inerenti agli iniettabili oncologici o ai radio farmaci), il farmacista deve rispettare le prescrizioni dell’art. 9, Codice.

Ai sensi dell’art. 36, Codice, il farmacista che opera nella distribuzione intermedia deve assicurare che tutti i medicinali siano conservati e trasportati nelle condizioni idonee e garantire che i medicinali siano ceduti esclusivamente a soggetti autorizzati alla distribuzione all’ingrosso o alla vendita diretta di medicinali, alle farmacie e agli esercizi di cui all’art. 5, D.L. n. 223/2006, convertito dalla legge n. 248/2006.

Vendita online, obbligo di segreto e tutela della privacy

L’art. 37, Codice, ha disposto che le farmacie e gli esercizi commerciali di cui all’art. 5, D.L. n. 223/2006, convertito dalla legge n. 248/2006, autorizzati ai sensi dell’art. 112-quater, D.Lgs. n. 219/2006, possono effettuare la fornitura a distanza al pubblico dei medicinali senza obbligo di prescrizione tramite Internet o altre reti informatiche, nel rispetto delle specifiche tecniche e normative previste.

La vendita a distanza dei farmaci è disciplinata dall’art. 112-quater, D.Lgs. n. 219/2006 (come modificato dal D.Lgs. n. 17/2014) e dal D.M. 6 luglio 2015. Ai sensi di tale normativa, la vendita online è ammessa solo per i medicinali a uso umano non soggetti a obbligo di prescrizione medica e può essere effettuata unicamente dalle farmacie e dagli esercizi commerciali di cui all’art. 5, decreto Bersani, purché dotati di specifica autorizzazione rilasciata dalla Regione o dalla Provincia autonoma (ovvero da altre autorità competenti individuate dalla legislazione regionale).

Il sito web per la fornitura a distanza dei medicinali deve contenere:

  • i recapiti dell’Autorità competente che ha rilasciato l’autorizzazione;
  • un collegamento ipertestuale al sito web del Ministero della Salute;
  • il logo comune, chiaramente visibile su ciascuna pagina del sito web, che deve a sua volta contenere un collegamento ipertestuale che rinvii alla voce corrispondente dell’elenco, pubblicato sul sito del Ministero della Salute, delle farmacie e delle parafarmacie autorizzate alla fornitura a distanza di medicinali. Tale logo è stato disciplinato dal D.M. 6 luglio 2015, deve essere conforme al marchio combinato allegato al decreto stesso e avere le prescritte caratteristiche tecniche.

Ai sensi dell’art. 142-quinquies, D.Lgs. n. 219/2006, il Ministero della Salute, previa proposta dell’Aifa resa a seguito di una conferenza di servizi istruttoria in collaborazione con il Nas, può disporre, con provvedimento motivato, anche in via d’urgenza, l’oscuramento dei siti illegali di vendita online di medicinali. La mancata ottemperanza al suddetto provvedimento comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa.

L’art. 38, Codice, a stabilito che nell’attività di vendita di prodotti diversi dai medicinali il farmacista ha l’obbligo di agire in conformità con il ruolo sanitario svolto, nell’interesse della salute del cittadino e dell’immagine professionale del farmacista.

Ai sensi dell’art. 39, comma 1, Codice, il farmacista è tenuto alla conservazione del segreto su fatti e circostanze dei quali il farmacista sia venuto a conoscenza in ragione della sua attività professionale. Ciò costituisce, oltre che un obbligo giuridico sanzionato dall’art. 622, codice penale, un dovere morale che il farmacista deve esigere anche dai collaboratori e dagli incaricati del trattamento dei dati personali. Tuttavia, il farmacista può rivelare fatti coperti dal segreto professionale nelle ipotesi previste dalla normativa vigente.

Il comma 2, art. 39, ha previsto che il farmacista, nel trattamento dei dati personali, anche sensibili, è tenuto al rispetto della normativa vigente in materia di riservatezza e protezione dei dati, contenuta principalmente nel regolamento (Ue) 2016/679, cosiddetto Gdpr), e ad assicurare la non identificabilità dei soggetti coinvolti nelle pubblicazioni o divulgazioni scientifiche di dati e studi clinici.

In particolare, l’art. 9, comma 2, lettera i), Gdpr, riconosce come lecito il trattamento “necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato, in particolare il segreto professionale”.

Infine, ai sensi dell’art. 39, comma 3, per la valutazione della gravità dell’inosservanza degli obblighi di cui sopra, può essere preso in considerazione l’eventuale vantaggio economico ottenuto dal farmacista o da altra persona e, parimenti, l’eventuale danno, anche morale, causato al paziente o familiare.