Sono 8 le proposte di Cittadinanzattiva contenute in una raccomandazione civica sugli screening neonatali estesi. Tra gli obiettivi: estendere gli screening, potenziare i centri di cura e i percorsi formativi rivolti al personale, avviare campagne informative per coinvolgere i cittadini e aggiornare i Lea e le liste di patologie, così da garantire fondi e uniforme accesso ai servizi sul territorio

Cittadinanzattiva, con una raccomandazione civica sugli screening neonatali estesi, ha sottoposto al Ministero della Salute una serie di proposte. La raccomandazione è stata realizzata con il coinvolgimento di associazioni di cittadini, pazienti e caregiver, professionisti sanitari, società scientifiche e rappresentanti istituzionali.

Le proposte si dividono in quelle di carattere nazionale e quelle di carattere regionale. Quanto alle prime, Cittadinanzattiva ha richiesto lo sblocco del “Decreto tariffe”, grazie al quale sarebbe possibile aggiornare i Livelli essenziali di assistenza (Lea), così da estendere e garantire gli screening in maniera uniforme. Viene poi richiesto:

  • l’aggiornamento delle patologie (metaboliche, neurodegenerative genetiche, lisosomiali o immunodeficienze), da inserire nell’elenco di quelle per cui appare necessario lo screening;
  • l’inserimento della Sma (atrofia muscolare spinale), così come di patologie metaboliche quali la mucopolisaccaridosi di tipo I, le malattie di Fabry, Gaucher e Pompe, le immunodeficienze combinate gravi (SCID), adrenoleucodistrofia legata all’X (X-ALD) e la leucodistrofia metacromatica (MLD) negli screening neonatali estesi;
  • l’istituzione di un meccanismo atto a vincolare le risorse destinate agli screening neonatali estesi in quanto le rRgioni possono disporne in assenza di specifico vincolo;
  • la definizione di modalità specifiche di gestione degli screening e di presa in carico dei pazienti positivi e di accesso alle terapie.

Per quanto attiene alle Regioni, è stato richiesto un potenziamento dei centri di cura, garantendo una adeguata presa in carico da parte di personale specializzato, eventualmente da stabilizzare; la promozione di percorsi di formazione specifica del personale, volta a creare non solo competenze ma anche un solido rapporto di fiducia con il paziente; l’avvio di campagne di informazione e sensibilizzazione sul territorio.

L’importanza degli screening neonatali

Gli screening neonatali sono una importantissima misura di prevenzione secondaria. Sono stati introdotti in Italia, gratuitamente, con la legge n.104 del 1992, con riferimento esclusivo a tre patologie: la fenilchetonuria, l’ipotiroidismo congenito e la fibrosi cistica.
Con la legge n.167 del 2016 gli screening sono stati estesi a circa 40 malattie metaboliche ereditarie e si è assistito all’istituzione di un Centro di coordinamento presso l’Istituto superiore di sanità, finalizzato a garantire la massima uniformità nell’applicazione sul territorio della diagnosi precoce neonatale.

Gli screening neonatali hanno come obiettivo quello di individuare e diagnosticare tempestivamente le malattie congenite per le quali sono disponibili interventi terapeutici specifici. Difatti l’intervento precoce e tempestivo, ancor prima dell’insorgenza di sintomi, è in grado di garantire un miglioramento sensibile nella prognosi di malattia e qualità di vita dei pazienti, scongiurando morte e gravi disabilità.

Nonostante sia stata regolamentata, questa procedura nel nostro Paese è stata adottata con tempistiche e modalità differenti nelle diverse Regioni, determinando una inevitabile disparità di accesso alla diagnosi.

I dati relativi all’anno 2019 evidenziano un numero di neonati sottoposti allo screening pari a 343.764 su un totale di 343.780 nati. Nel 2020, a fronte di 334.410 nati, quelli sottoposti a screening neonatale sono stati 333.737.

Criticità e buone pratiche

Da una parte si evidenzia una difformità nella raccolta e analisi dei dati, talvolta effettuata dal centro screening neonatale della stessa Regione, come accade in Puglia, Piemonte, Toscana, Veneto e Lazio, mentre a volte viene condotta da un’altra regione (Molise, Basilicata, Valle D’Aosta, Friuli, Bolzano e Trento). Negli ultimi anni è stato notato inoltre un crescente rifiuto da parte dei genitori a sottoporre i neonati allo screening: basti pensare che si trattava di appena 16 nel 2019 a fronte di 673 nel 2020, probabilmente causato da una mancata informazione sul tema.

Esistono tuttavia anche casi di best practice, come quelle di Lazio e Toscana, in cui nel 2021 è stata inserita l’atrofia muscolare spinale tra le patologie oggetto di screening, con 92 mila test effettuati. Un traguardo, questo, che ha fatto da apripista per altre Regioni che si apprestano ad attuarlo (Piemonte, trentino, Veneto, Friuli ed Abbruzzo).

A partire dal 2021, grazie a una normativa regionale che ne istituisce l’obbligatorietà, anche in Puglia si effettua lo screening per la Sma; in questa Regione sono già stati effettuati oltre 8 mila test.