Skin Cancer Index, la distribuzione dei tumori della pelle

Il progetto Skin Cancer Index, un’iniziativa della piattaforma di advice dermatologico derma.plus, ha analizzato la distribuzione geografica e socio-economica dei tumori della pelle in 62 diversi paesi (su dati WHO Globocan Report; clicca qui per vedere i dati).

Più in particolare il Skin Cancer Susceptibility Index ha valutato l’impatto della malattia di fattori quali l’irraggiamento UV, il tono medio del colore della pelle degli abitanti, la percentuale di incidenza, mentre il Socio-Economic Treatment Index ha analizzato la mortalità rispetto ai dati relativi alla spesa sanitaria nazionale dei diversi paesi, all’accesso alle cure e al redditi individuali, quale indice degli sforzi messi in atto dai diversi paesi per contrastare questo problema molto diffuso.

I dati principali

Nuova Zelanda e Australia sono risultati essere i paesi col maggior numero di nuovi casi di tumore alla pelle per popolazione (indice 10,00 e 9,67, rispettivamente), mentre il paese europeo più colpito è la Svizzera (5,89); l’Italia si colloca al 29-esimo posto della classifica (indice 2,35), che a livello europeo vede nelle prime dieci posizioni soprattutto paesi nordici. All’estremo opposto, la minor incidenza della malattia è in paesi le cui popolazioni hanno toni della pelle più scuri, tutti nell’area medio-orientale, asiatica e africana.
L’Italia è al terzo posto della classifica socio-economica, dietro alla Svezia e alla Svizzera; nel Belpaese la mortalità per tumori alla pelle è del 14% (rispetto al 17% e al 15% degli altri due paesi, rispettivamente), a fronte di un indice di spesa sanitaria molto maggiore (6,32, rispetto al 4,20 della Svezia e al 2,81 della Svizzera). Il Lifetime expectancy inequality index, che fornisce un’indicazione dell’aspettativa di vita per le persone colpite, è simile nei tre paesi (in tutti i casi attorno a una valore di 3-4). Tale indice cresce enormemente per le nazioni meno sviluppate, dove il tasso di mortalità può essere anche di cinque volte quello osservato nei paesi occidentali. A tale andamento corrispondono anche investimenti sanitari molto minori da parte dei paesi asiatici, africani e del Medio-Oriente.