Pubblicato dal Ministero della Salute il Rapporto sullo Stato Sanitario del Paese nel quinquennio 2017-2021, un periodo fortemente influenzato dalla pandemia Covid-19, che ha modificato in modo sensibile buona parte degli indicatori

La Relazione sullo Stato Sanitario del Paese relativa al periodo 2017-2021, di recente pubblicazione da parte del Ministero della Salute, risponde all’esigenza di produrre una informativa al Parlamento, e ai cittadini, sullo stato di salute della popolazione e sull’attuazione delle politiche sanitarie.

La relazione riveste particolare importanza per pianificazione e programmazione del Ssn. La stessa è stata introdotta nel 1978 con legge n.833 ed è stata successivamente individuata, dal Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, quale strumento di valutazione del processo attuativo del Piano Sanitario Nazionale.

La struttura del rapporto

All’interno del corposo documento sono:

  • illustrate le condizioni di salute delle persone che vivono nel nostro Paese;
  • descritte le risorse impiegate e le attività svolte dal Ssn;
  • esposti i risultati raggiunti rispetto al Piano Sanitario Nazionale e ai piani sanitari regionali;
  • fornite indicazioni sulla programmazione di futuri interventi.

Questo rapporto assegna particolare centralità al Covid-19, dal momento che la pandemia Sars-Cov-2 dai primi mesi del 2020 ha scompaginato il sistema sanitario nazionale e modificato buona parte degli indicatori analizzati dal rapporto.

L’analisi di scenario

Il rapporto prende avvio dall’analisi del mutamento demografico dalla metà degli anni ’90 ad oggi, concretizzatosi sulla base di due direttrici: l’invecchiamento della popolazione e l’immigrazione straniera. Al 1° gennaio 2021 l’indice di vecchiaia (inteso come rapporto tra la popolazione over 65 e quella under 15) è risultato pari al 182,6%. Il processo di invecchiamento investe tutte le Regioni, particolarmente quelle centro-settentrionali: in Liguria, il valore più alto dell’indice raggiunge quota 262,3%. Numerosi nel nostro Paese anche gli ultracentenari, oltre 1.100.

L’altro elemento è dato dalla forte presenza straniera: al 1° gennaio 2021 la popolazione straniera residente risultava pari a oltre 5 milioni (8,7% della popolazione totale).

Il declino demografico

Al 1° gennaio 2021 la popolazione residente risultava pari a 59.236.213, riducendosi di oltre 400mila unità rispetto all’anno precedente, ovvero il primo anno di pandemia. Il declino demografico già avviatosi dal 2015 è stato accentuato dagli effetti del Sars-Cov-2. Nel corso del 2021 il saldo naturale (differenza tra nascite e decessi) ha raggiunto –335.000 unità.

Il deficit di nascite rispetto ai decessi è tutto dovuto alla popolazione di cittadinanza italiana (–386.000), mentre per la popolazione straniera il saldo naturale resta ampiamente positivo (+50.584).

Il tasso di natalità nel 2021, a livello nazionale, è risultato del 6,8 per mille, con un valore minimo nel Centro Italia (6,3 per mille) e un massimo nel Sud e nelle Isole (7,1 per mille). Il tasso di mortalità, nello stesso periodo, risultava del 12 per mille.

Età media della popolazione

L’età media della popolazione residente al 1° gennaio 2021 risultava pari a 45,9 anni, aumentata di quasi un anno rispetto al dato di cinque anni prima (45 anni). In dieci anni la struttura per età della popolazione è ulteriormente invecchiata: la percentuale di giovani sotto i 15 anni passa dal 14% al 12,9% tra il 1° gennaio 2011 e il 2021. Nello stesso periodo gli anziani (65+ anni) sono passati dal 20,3% al 23,5%. Per quanto riguarda la popolazione straniera residente, che si colloca prevalentemente nel Nord e nel Centro, la struttura per età è decisamente più giovane, con un’età media di 34,8 anni.

La speranza di vita e la speranza di vita senza limitazioni

La speranza di vita è uno degli indicatori centrali per valutare lo stato di salute di una popolazione, consolidato a livello internazionale, che esprime i livelli di sopravvivenza considerando il numero medio di anni di vita attesa, alla nascita o a una data età (ad esempio 65 anni). L’Italia da anni è ai primi posti per longevità, anche se la pandemia ha leggermente rallentato il progressivo incremento dell’aspettativa di vita.

Nel 2020 difatti, l’eccesso di mortalità da Covid-19 ha comportato la perdita di 1,3 anni di vita attesa alla nascita per gli uomini (da 81,1 nel 2019 a 79,8 nel 2020) e di 0,9 per le donne (da 85,4 a 84,5), con un impatto sensibilmente differenziato sul territorio: più contenuta al centro e nelle regioni meridionali e più marcata al Nord.

Le stime provvisorie per il 2021 hanno evidenziato un accenno di ripresa; a livello nazionale per gli uomini la vita media attesa alla nascita si stima pari a 80,1 anni e per le donne 84,7 anni.

Un indicatore ancor più importante è quello dato dalla speranza di vita in piena autonomia. Miglioramenti nella qualità della sopravvivenza si registrano anche nel triennio 2017-2019. In particolare, le donne guadagnano 6 mesi di vita (con la speranza di vita a 65 anni che passa da 22,1 anni nel 2017 a 22,6 anni nel 2019) che vanno tutti a incrementare il tempo di vita da trascorrere senza alcuna limitazione nelle attività (da 9,3 anni nel 2009 a 9,8 anni nel 2019). La vita media degli uomini a 65 anni aumenta da 19 anni nel 2017 a 19,4 anni nel 2019, ma solo metà dei mesi guadagnati sono da vivere senza alcuna limitazione (da 10 anni nel 2017 a 10,2 anni nel 2019). Anche per la speranza di vita senza limitazioni a 65 anni emerge il noto gradiente Nord-Sud, a svantaggio del Meridione.

Cause di mortalità

Nel 2019 i decessi in Italia sono stati 637.451: 305.052 uomini e 332.399 donne con un tasso di mortalità standardizzato pari, rispettivamente, a 1.030,2 e 684,8 per 100mila abitanti.

Nel 2019 le prime dieci cause di morte per numero assoluto di decessi erano in grado di spiegare il 50% del totale delle morti, per entrambi i generi.

Ai primi posti per le donne: le malattie del sistema circolatorio, che costituiscono il 26% dei decessi femminili; seguono la demenza (16.440 decessi), i tumori maligni del seno (12.772 decessi) e il diabete (11.686 decessi). Per gli uomini, invece, sono quattro le patologie del gruppo del sistema circolatorio che si collocano tra le prime sei cause di morte; al secondo posto i tumori di trachea, bronchi e polmoni con 22.758 decessi. Tra le prime dieci cause maschili vi è anche il tumore di colon, retto e ano e quello della prostata.

A livello di classi di età, si evidenzia che la maggior parte dei decessi riguarda la popolazione di 75 anni e oltre, soprattutto femminile (69% dei decessi totali negli uomini e 83% nelle donne) per cause legate a malattie cronico-degenerative. Negli ultimi anni è aumentata la mortalità per malattie circolatorie e per tumori. Resta bassa la mortalità nella fascia d’età pediatrica.

Mortalità prevenibile

Con mortalità evitabile ci si riferisce ai decessi delle persone under 75 che avvengono per cause di morte contrastabili con stili di vita più salutari, con la riduzione di fattori di rischio ambientali e con adeguati e tempestivi interventi di diagnosi e trattamento della malattia.

La mortalità evitabile si compone di due ambiti: quella prevenibile, che può essere evitata dunque con efficaci interventi di prevenzione primaria e di salute pubblica, e quella trattabile, che può essere evitata con un’assistenza sanitaria tempestiva ed efficace in termini di prevenzione secondaria e di trattamenti sanitari adeguati. Si tratta di indicatori importanti alla valutazione delle prestazioni del SSN.

Nel 2019, sono decedute per cause evitabili 96.400 persone, che rappresentano il 63% di tutti i decessi under 75. Le differenze di genere – a sfavore del genere maschile – sono marcate: sono deceduti 60.987 uomini e 35.413 donne, disuguaglianze spiegabili soprattutto con la componente prevenibile, ossia quella maggiormente legata agli stili di e ai comportamenti più a rischio.

Infezioni, vaccini, ICA

Il documento analizza quindi le infezioni che, stando all’organizzazione Mondiale della Sanità, rappresentano ancora una delle prime dieci cause di morte nei paesi a basso reddito; quindi i vaccini e le Infezioni correlate all’Assistenza (ICA). Su quest’ultimo aspetto, dal secondo studio di prevalenza condotto negli ospedali per acuti, basato sul protocollo ECDC, è emerso che nel biennio 2016-2017 la prevalenza di pazienti con almeno un’ICA sul totale dei pazienti eleggibili era dell’8,03%, più alto della media UE al 7%. In Italia, il rischio di ICA aumentava sensibilmente nei pazienti sottoposti a chirurgia invasiva o nei neonati prematuri e superava il 34% nei pazienti con catetere venoso centrale, urinario e intubati, oppure non intubati ma ricoverati da più di 10 giorni e con una malattia terminale.

L’accesso alle cure

Nel gennaio 2017 sono stati definiti, dopo 16 anni, i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) erogati dal Servizio sanitario nazionale, ponendo a carico del Ssn numerose nuove prestazioni.

Sono state introdotte numerose procedure diagnostiche e terapeutiche, ausili informatici e di comunicazione, apparecchi acustici a tecnologia digitale, attrezzature domotiche e sensori di comando e controllo, arti artificiali a tecnologia avanzata e sistemi di riconoscimento vocale e di puntamento con lo sguardo, adroterapia, introduzione di nuovi vaccini, introduzione dello screening neonatale per la sordità congenita e la cataratta congenita e per le malattie metaboliche ereditarie. Il 2 settembre 2021 è stato richiesto un ulteriore inserimento di 61 voci all’interno dei LEA.

Il rapporto si occupa quindi di esaminare l’erogazione all’interno del Ssn dei farmaci essenziali, le tempistiche di prezzo e rimborso, i farmaci orfani e quelli innovativi. E, più in generale la qualità dell’assistenza.

Prospettive: i fondi PNRR

Nell’ultima parte viene dedicato spazio agli interventi finalizzati a implementare gli interventi di medicina territoriale anche grazie ai fondi derivanti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR.