Stimare in modo corretto il consumo di insulina per prepararsi ai picchi di consumo attesi per il 2030

Il consumo di insulina per curare il diabete di tipo 2 è atteso crescere di almeno il 20% di qui al 2030, ma almeno la metà dei 79 milioni di pazienti interessati a livello globale potrebbero sperimentare difficoltà di accesso alla terapia. La denuncia arriva dall’ultimo numero di The Lancet Diabetes & Endocrinology, che ha pubblicato i risultati di uno studio di modelling sui potenziali utenti dell’insulina, condotto su 221 paesi e relativo al periodo 2018-2030. Lo studio è basato sui dati dell’International Diabetes Federation e su quattordici diverse coorti, rappresentative di oltre il 60% dei pazienti con diabete di tipo 2. Il lavoro ha anche considerato il possibile impatto delle complicazioni derivanti dalla malattia negli over 18, a seconda del livello di accesso all’insulina e degli obiettivi di trattamento (dal 6,5% al 8% di emoglobina glicata (HbA1c), preso come riferimento della misura del glucosio nel sangue).

Una malattia in forte espansione

I malati di diabete di tipo 2 dovrebbero raggiungere i 511 milioni a livello globale nel 2030, a partire dai 406 milioni dell’anno in corso; i paesi più colpiti sono la Cina (130 mln), l’India (98 mln) e gli Stati Uniti (32 mln). Il trend di crescita della malattia è riflesso nel corrispondente aumento di consumo dell’insulina, che gli autori stimano passare dai 526 milioni di unità odierne a 634 milioni nel 2030 (misurati in vial da 1000 unità).

Asia, Africa e Oceania dovrebbero essere i paesi in cui il problema dell’accesso all’insulina potrebbe rivelarsi in modo più drammatico, qualora venga mantenuta l’attuale impostazione delle cure. L’Africa, in particolare, presenta secondo gli autori ancora problemi di barriere di mercato che vanno considerati e risolti per ampliare le possibilità di accesso al medicinale fondamentale per la cura di questa malattia in fortissima crescita. Il numero di pazienti adulti dovrebbe aumentare nei prossimi dodici anni, hanno stimato gli autori dello studio, a causa dell’invecchiamento, dell’urbanizzazione e dei conseguenti cambiamenti della dieta e dell’attività fisica.

Secondo l’editoriale di commento firmato da Hertzel Gerstein della McMaster University (Canada), essendo basata su modelli matematici, a loro volta basati su assunzioni, le considerazioni per il futuro delineate nello studio andrebbero tuttavia prese con una certa cautela. “A prescindere da queste incertezze – ha commentato Gerstein – l’insulina dovrebbe mantenere la sua posizione di terapia cruciale per il diabete 2, e simili fabbisogni di fornitura a livello globale devono essere stimati e assicurati…Aggiornamento periodici di modelli come questo, che incorporino i nuovi dati e trend, potrebbero essere il modo più sicuro per assicurare la loro rilevanza e affidabilità per l’ evidence-based care.”

Rivedere i target di trattamento

Fermi restando gli attuali obiettivi terapeutici legati all’uso dell’insulina – che gli autori dello studio indicano in una quantità di emoglobina glicata nel sangue minore o uguale al 7% – i pazienti sotto trattamento nel 2030 dovrebbero raddoppiare rispetto ad oggi (da 7,4% dei pazienti a 15,5%).
Un accesso più universale al trattamento avrebbe un impatto particolarmente importante in Africa, dove si potrebbe passere da circa 700 mila pazienti sotto terapia ad oltre 5 milioni, e in Asia, che raddoppierebbe il numero di pazienti trattati (da 21 a 48 milioni di pazienti).
La maggior parte delle linee guida raccomanda target di glucosio di meno del 6,5-7%. Porre come obiettivo una soglia più moderata per il controllo potrebbe migliorare la salute complessiva e bilanciare i rischi di ipoglicemia con un beneficio di lungo termine a livello di patologia microvascolare”, ha spigato il coordinatore della ricerca, Sanjay Basu della Stanford University.

L’obiettivo proposto, ad esempio, potrebbe essere quello del’8% nelle persone over 75: un obiettivo che secondo gli autori permetterebbe di dimezzare il ricorso all’insulina e prevenire molte disabilità, in quanto diminuirebbe del 44% il numero di eventi ipoglicemia gravi, più frequenti negli anziani. A ciò farebbe da contraltare un aumento del 20% dei problemi diabete-correlati a carico degli occhi (cecità), dei reni (insufficienza renale) o del sistema nervoso. Il diabete è anche correlato a un maggior rischio di necrosi degli arti, con conseguente amputazione, e di infarto.

Lo studio fa parte della più ampia iniziativa Addressing the challenge and constraints of insulin sources and supply (Acciss) ed è stato finanziato dal Leona and Harry Helmsley Charitable Trust.