La Commissione europea, dando il via libera ai glucosidi steviolici come edulcoranti non calorici per alimenti e bevande, porta una vera novità anche sul mercato italiano
Con il Regolamento 1131/2011 la Commissione europea ha ammesso l’impiego di glucosidi steviolici (E960) come dolcificanti alimentari recependo il parere favorevole del panel scientifico dell’EFSA che s’aggiunge a quello di altri autorevoli enti regolatori. Si tratta di molecole estratte dalle foglie di Stevia rebaudiana Bertoni, pianta impiegata in tutto il Sudamerica come eccipiente e droga officinale da secoli, prive di calorie, ma con potere dolcificante molto superiore al saccarosio.
L’autorizzazione non s’estende alla droga vegetale grezza per la quale bisogna attendere l’approvazione come novel food, in quanto manca una storia di consumo significativo in Europa prima del 15 maggio 1997. L’impiego è condizionato al rispetto di concentrazioni massime i cui valori (in mg/Kg o mg/l) variano a seconda dell’alimento e sono riepilogati in una tabella allegata al regolamento. Nel redigerla i legislatori hanno tenuto conto di una DGA (Dose Giornaliera Ammissibile) pari a 4 mg/Kg/die di glucosidi totali espressi in equivalenti di steviolo e dei consumi medi dei vari tipi di cibi e bevande. La stessa CE ha però messo in guardia sull’eventualità che alcuni soggetti possano superare lo stesso il limite, soprattutto se sono forti consumatori di bevande analcoliche aromatizzate.
Sono tre i glucosidi d’interesse industriale contenuti nelle foglie di stevia: lo stevioside (potere dolcificante da 110 a 270 volte quello del saccarosio), il rebaudioside A (150-320 volte) e il rebaudioside C (40-60 volte). Composti minori sono il rebaudioside B e C, il dulcoside A e lo steviolbioside. Nella pratica quasi tutti i dolcificanti basati sulla stevia contengono uno dei primi due composti citati o una loro miscela.
Digerendo le foglie con acqua calda i glucosidi vanno in soluzione e sono poi concentrati per adsorbimento su resine a scambio ionico; successivamente s’eluiscono con solventi alcolici e si cristallizzano per spray drying. Le potenziali impurezze sono fitocomposti co-estratti, quali pigmenti e glucosidi non correlati, più difficilmente residui di resina e solventi (metanolo ed etanolo).
Come accade con quasi tutti i derivati naturali la composizione della materia prima può differire a seconda della qualità della droga di partenza e del metodo d’estrazione, variabili che influenzano sia il potere dolcificante sia il caratteristico retrogusto, più o meno intenso, di liquirizia. In ogni caso, per soddisfare lo standard alimentare JEFCA, non devono contenere meno del 95 % di glucosidi dolci, con prevalenza assoluta di stevioside e rebaudioside A e con un potere edulcorante in media da 200 a 300 volte superiore al saccarosio. Sono stabili per brevi esposizioni al calore (il che li rende idonei in alimenti che devono essere cotti o pastorizzati), alla luce e in soluzione dove resistono per lunghi periodi a pH inferiore a 3 e a temperature sopra i 40°C (test di stabilità eseguiti per le bevande gassate acidificate con acido citrico e ortofosforico). I prodotti di degradazione, innocui per la salute, derivano da reazioni idrolitiche che rimuovono una o più molecole di zucchero interconvertendo un glucoside nell’altro con formazione di piccole percentuali di steviolo. Come s’evince dalle formule di struttura, il rebaudioside A differisce per una sola unità di glucosio dallo stevioside nel quale può in parte trasformarsi per idrolisi senza che ciò comporti grandi variazioni del gusto dolce. I corrispondenti equivalenti steviolici, per esprimere le concentrazioni secondo i termini di legge, si ottengono moltiplicando per 0,4 le quantità di stevioside e per 0,33 quelle di rebaudioside A.
Giuseppe Palmiotto