Il termine ansia è ben noto ai farmacisti che spesso si trovano di fronte persone che chiedono un aiuto per attenuarla. Nel linguaggio comune lo si usa anche per identificare una serie di stati emotivi e comportamenti che, in realtà, sono del tutto fisiologici, come apprensione, preoccupazione, tensione, paura, reazione allo stress o stato d’allarme. Anche in presenza di ansia lieve o malessere, però, occorre fare attenzione, perché se sfugge di mano e non viene controllata, la situazione può peggiorare fino a diventare debilitante e a interferire con le attività quotidiane di chi ne soffre.
Il gradino successivo per intensità è l’ansia come vera e propria condizione patologica, caratterizzata da sintomi sia somatici sia psichici che devono essere riconosciuti da un medico per intervenire a diversi livelli con supporto psicologico, psicoterapeutico o, quando ritenuto opportuno, farmacologico. L’ultimo stadio dell’ansia comprende un insieme di disturbi specifici che richiedono una diagnosi appropriata e la sistematica messa in atto di interventi terapeutici veri e propri predisposti dal medico di famiglia, da uno psicologo o da uno specialista in psichiatria.
Tutti i disturbi d’ansia condividono tratti di paura e ansia eccessivi da cui derivano disturbi comportamentali correlati. La paura è la risposta emotiva a una minaccia imminente, sia essa reale o percepita, mentre l’ansia è l’anticipazione di una minaccia futura. I disturbi d’ansia, quando diventano persistenti, vanno distinti dalla paura o dall’ansia transitoria, spesso indotte dallo stress. Ogni disturbo d’ansia viene diagnosticato solo se i sintomi non possono essere attribuiti agli effetti di una sostanza assunta, di un farmaco o a un’altra condizione medica presente nel paziente e non possono essere spiegati dalla diagnosi di un altro disturbo mentale. È fondamentale capire, quindi, la diversità tra l’ansia lieve intesa come stato emotivo fisiologico e l’ansia come vero e proprio disturbo psichiatrico.
In entrambi i casi, comunque, i sintomi ansiosi, se non controllati, possono diventare debilitanti e interferire con le attività quotidiane della persona. I disturbi d’ansia sono molto frequenti, con una prevalenza nel sesso femminile, e rappresentano il disturbo mentale più comune. Secondo alcune fonti, in Europa il 14% delle persone tra i 14 e i 45 anni ne soffre e negli Stati Uniti il 15% degli adulti. Basandosi su indagini che coinvolgono grandi numeri di persone, si stima che oltre il 33% della popolazione soffra di un disturbo d’ansia nel corso della vita. È stato dimostrato che queste patologie vengono sottodiagnosticate e trattate in modo insufficiente. Molti disturbi d’ansia esordiscono in età infantile e tendono a persistere se non adeguatamente gestiti.
I disturbi d’ansia hanno un importante impatto a livello lavorativo e assistenziale e sono molto spesso sovrapposti in comorbidità con altri disturbi psichiatrici come la depressione maggiore, complicando il quadro clinico e il funzionamento sociale della persona che ne soffre. Chi è affetto da disturbo d’ansia, infatti, ha maggiori probabilità di cadere in depressione. La 5a edizione del testo considerato basilare per il settore, Diagnostic and statistical manual of mental disorders ( Dsm-5-Tr), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, aggiornata nel 2022, elenca i vari disturbi d’ansia per ordine di età tipica di insorgenza.
I farmaci di riferimento
Gli ansiolitici, in particolare le numerose benzodiazepine in commercio, rappresentano tuttora i farmaci di riferimento nel caso di disturbi d’ansia e, in generale, dei disturbi mentali caratterizzati da aspetti ansiosi. Il loro utilizzo rappresenta una prassi diffusa, ma spesso non ottimale poiché l’effetto degli ansiolitici di solito non va oltre il sollievo dei sintomi, peraltro molto apprezzato dai pazienti. Questa classe di farmaci, infatti, incide solo in modo marginale sui singoli aspetti psicopatologici dei diversi disturbi dello spettro ansioso.
La connotazione sintomatica dell’effetto della terapia con ansiolitici comporta, in molti casi, l’instaurarsi di polifarmacoterapie con conseguenti implicazioni gestionali. Infatti, bisogna valutare eventuali interazioni farmacologiche e verificare l’aderenza a tutte le varie terapie prescritte dai medici al singolo paziente. La terapia con benzodiazepine può indurre rischi sulla sfera cognitiva e sul grado di attenzione del paziente e, dato il percepibile e rapido sollievo che effettivamente questi principi attivi offrono, può indurre un utilizzo eccessivo con rischio di abuso. Infine, un uso prolungato può portare a una diminuzione di efficacia, sempre con rischio di aumento autonomo della posologia.
Per questo insieme di motivi, la terapia andrebbe sempre attentamente monitorata dal medico e il farmacista non dovrebbe cedere alle frequenti pressioni di acquisto senza ricetta medica, di cui tutti siamo testimoni. Esistono anche farmaci antidepressivi che trovano indicazione per i disturbi d’ansia, come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Ssri, per esempio, escitalopram) e gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina-noradrenalina (Snri).
Tra questi ultimi, la duloxetina è indicata in modo specifico per il disturbo d’ansia generalizzato e la venlafaxina per il trattamento a lungo termine dell’ansia. Se il paziente non trova beneficio da nessun approccio e da più cicli di terapia, si definisce refrattario al trattamento. In questi casi sarà opportuno che il medico rivaluti la diagnosi fatta considerando altre condizioni mediche o psichiatriche in comorbidità che potrebbero influenzare la risposta agli approcci terapeutici tentati invano.