Ogni bracciata è la sintesi di due respiri, ogni virata è la somma di due sguardi. Quello concentrato, potente, di Christian Bacico, e quello vigile, instancabile, di Verika Scorza. Nuotatore e allenatrice. Atleta e guida. Uno che sogna le Olimpiadi, l’altra che ha imparato a lottare ogni giorno per farsi spazio in un mondo dove la competenza femminile deve ancora guadagnarsi il giusto ascolto.
C’è una fiducia reciproca che non ha bisogno di troppe parole, solo di gesti. C’è un rispetto che nasce dalla fatica condivisa, dalle albe che iniziano in vasca quando fuori è ancora buio, dai silenzi pieni che solo chi conosce davvero lo sport può comprendere.
E poi c’è l’acqua. L’acqua che isola, che protegge, che porta via tutto il rumore del mondo. In acqua si è soli, ma non si è mai soli davvero. Perché ogni tecnica, ogni miglioramento, ogni battito di mani a bordo vasca è il frutto di un lavoro a quattro mani.
Christian nuota per andare lontano. E lontano ci sta andando: campione agli Assoluti, medagliato in Europa e nel mondo, trascinatore in staffetta. Ma non è solo il talento che lo spinge avanti, è la visione che condivide con chi lo accompagna ogni giorno. Verika lo conosce, lo anticipa, lo spinge oltre. E lo fa con quella dedizione silenziosa, paziente, che è forse il vero motore dello sport.
Il nuoto, del resto, non è solo uno sport. È un’educazione. Una scuola rigorosa che insegna rispetto, responsabilità, bellezza. E questa è la storia di due persone che stanno imparando, insieme, a renderlo anche una forma d’arte.
E allora, proviamo a farlo anche noi. Proviamo a tuffarci e a nuotare, proviamo ad alternare respiri trattenuti e soffiati, proviamo a sentirci una cosa sola con l’acqua. Proviamo ad ascoltare: perché, fidatevi, quel che si ascolta sott’acqua non lo si ascolta da nessun’altra parte.

Verika: via il dente, via il dolore. Essere un’allenatrice in un mondo che ama declinare ogni cosa al maschile è una bella sfida.
«Le donne che allenano sono tante, ma sono quasi tutte a livello giovanile. Essere una donna che allena ad alto livello è il frutto di un percorso oggettivamente tosto, non banale e non scontato. L’assunto di base è che la donna debba stare in famiglia, e questo si concilia poco con un lavoro che ti chiede tanto ma soprattutto ti chiede assenze e lunghi periodi in giro. Per una donna è più difficile».
Christian: la domanda più scontata. Ti ricordi la prima volta che sei entrato in una piscina?
«Certo. Io volevo andare a giocare a calcio e volevo andare al campo da calcio. E invece mia mamma mi ha portato in piscina e mi ha buttato in acqua. Sono uscito da quella piscina felicissimo e con tanta voglia di tornare lì dentro: quella voglia non se n’è mai andata, a volte ce n’è un po’ di meno ma non manca mai la passione per questo sport e per l’acqua».
Stessa domanda a Verika…
«Avevo cinque anni. Ho passato tutto il primo anno in braccio all’istruttore perché avevo paura, ci ho messo tanto ma alla fine l’acqua mi ha conquistato. Ho nuotato tanto, poi ho iniziato a fare l’istruttrice per i più piccoli per arrivare alla fine qui dove sono oggi».
Verika: un sinonimo di “allenatore”.
«Direi “trasmettitore”. Perché un allenatore trasmette: la voglia, la determinazione nel raggiungere qualcosa che poi è una dote che serve in ogni ambito della vita. Darsi degli obiettivi e raggiungerli. Imparare a ricevere dei “no” e accettarli, rispettarli. Imparare che senza fatica non si arriva da nessuna parte, e se si arriva da qualche parte è un posto sbagliato».
Christian annuisci. Perché?
«Perché è così. Se penso a una cosa che mi ha dato il nuoto è proprio questo: finire quello che si è iniziato, lottare per prendere una cosa a cui tieni. Questo serve in vasca, ma serve anche nella vita».
Verika: cos’è l’acqua?
«Solitudine e bellezza. Quando entri in acqua non c’è nessuno e c’è solo il tuo corpo che si muove in modo diverso e naturale. Prima di entrare non hai voglia – fa freddo, mi bagno i capelli, sono truccata – ma appena entri cambia tutto, cambia il mondo».
Christian: qual è la tua giornata tipo?
«Faccio la vita dell’atleta. Mi sveglio alle 8:30 e faccio colazione con caffè, biscotti e un po’ di frutti di bosco. Poi alle 10 entro in acqua fino alle 11:30, mi preparo un piatto abbondante di pasta e magari un po’ di bresaola e alle 14 sono di nuovo in piscina fino alle 17. Ho un paio d’ore libere per sistemare casa o vedere gli amici, poi dopo cena crollo a letto».
Domanda a tutti e due. Quanto conta la testa e quanto il corpo nella costruzione di una vittoria?
Verika: «Il corpo conta 30, il resto è testa e cuore. Quando sei sul blocco di partenza sei da solo, quando sei in acqua sei da solo e la testa è tutto. Ed è lì che bisogna lavorare, perché non è semplice convincere un ragazzo a farsi sei ore al giorno in acqua fissando una linea blu sul fondo della vasca: ecco che il rapporto atleta-allenatore diventa fondamentale, perché se si instaura un rapporto di fiducia reale tutto ciò che si fa lo si fa insieme».
Christian: «La testa è tutto. Puoi avere un fisico perfetto essere allenatissimo, puoi essere il più forte di tutti. Ma se arrivi sui blocchi e hai quell’ansietta, se ti vengono i brutti pensieri, ecco che va tutto a rotoli e finisce che perdi. Come cacciare via l’ansia? Convincendomi di avere fatto tutto quello che dovevo, liberando la mente e cacciando via i fantasmi. Mi dico una sola parola: divertiti».
Verika, hai utilizzato molte volte il termine “solo”. Perché?
«Perché il nuoto è lo sport individuale per eccellenza. Certo, poi noi facciamo gruppo e facciamo squadra: quando siamo in giro per le gare, durante i momenti liberi dagli allenamenti. Però poi il nuotatore è da solo e non ha un compagno a cui passare la palla per andare in porta: da solo, a lottare contro un cronometro perché è il cronometro che dice se hai vinto, se ti sei qualificato per i mondiali. Il margine d’errore è ridotto a zero perché se sbagli un dettaglio non recuperi più, hai perso una gara alla quale magari ti sei preparato per anni. Ecco perché la testa conta così tanto».
Christian: qual è la prima cosa che fai appena toccato il muretto?
«Alzo la testa e guardo il tempo che ho fatto. Poi cerco con lo sguardo Verika e le sorrido, sempre: se la gara è andata bene, ma anche se è andata male. E poi faccio un po’ di show, perché abbiamo detto che bisogna divertirsi, no?
Verika. Torniamo alla “testa”: aiuta praticare la meditazione?
Aiuta se ti insegna a stare con te stesso, a fare il vuoto, a visualizzare la gara in ogni dettaglio prima di viverla. Aiuta se spazza via i dubbi e ti convince che hai fatto tutto quello che dovevi fare».
Christian sorride…
«Io non medito, ma ho i miei riti scaramantici. Innanzitutto prima di una gara devo dormire almeno otto ore, poi prima di partire mi siedo incrociando le gambe con le mani sulle ginocchia, se è una gara veloce mi do qualche sberla sul petto e faccio un po’ di stretching per chiamare a raccolta tutti i muscoli».
Capitolo alimentazione: Verika, quanto è seguito un atleta come Christian?
«In questo senso parliamo di educazione alimentare. Un atleta come Christian sa quello che serve al suo corpo, sa che deve fare una vita da atleta e che l’alimentazione è importantissima perché bisogna saper mangiare tutto. Un atleta del suo livello è seguito da un nutrizionista solo se ci sono dei problemi alimentari, altrimenti deve imparare a gestirsi da solo, magari reintegrando se manca qualche nutriente».
Christian, concordi?
«Diventa fondamentale conoscere il proprio corpo, saper quello che ti chiede. Io vivo da solo e devo gestirmi in autonomia i pasti ma anche il sonno e i riposi. Conoscere il proprio corpo è fondamentale e può fare la differenza, ed è una cosa che hai dentro e non la impari, non la alleni».
Verika, esprimi un desiderio.
«Che Christian e tutti gli altri ragazzi che seguo facciano la loro strada: per qualcuno questa strada porterà a un campionato italiano, per qualcun altro alle Olimpiadi. Ma l’importante è che ognuno trovi il suo futuro, un futuro felice. Poi, è chiaro: il sogno è uno solo. Christian alle Olimpiadi di Los Angeles nel 2028, con una medaglia al collo».
Christian, ovviamente, annuisce convinto.
«È quello che voglio, quello che ho sempre voluto, quello che ho sempre sognato. Da bambino andavo a letto e sognavo di fare le Olimpiadi. E sono convinto che realizzerò il mio sogno, magari per vincere una medaglia da dedicare a mamma e papà. E a Verika, ovviamente».
Perché poi il nuoto è anche questo: un patto silenzioso tra chi guida e chi si affida, tra chi sogna e chi sa indicare la rotta. È un amore fatto di cloro, sacrifici e secondi che sembrano eterni. Ma è anche una luce accesa dentro, una che non si spegne nemmeno quando sei esausto. E forse un giorno, guardando un podio illuminato sotto il cielo di Los Angeles, basterà un solo sguardo tra loro due per capire che ne è valsa la pena.