Minor costo, medesimo principio attivo del branded e pari efficacia del farmaco originatore. Sono le caratteristiche quali-quantitative degli equivalenti o generici: farmaci il cui brevetto è scaduto e che possono essere commercializzati con un prezzo alla confezione diminuito di almeno il 30% rispetto al farmaco con brevetto ancora valido.

Un vantaggio per il paziente, che ha la garanzia di eguale efficacia terapeutica e sicurezza, essendo i generici sottoposti allo stesso processo di farmacovigilanza di un medicinale di marca, e per il sistema, in un contesto di maggiore sostenibilità. Tutto questo a fronte, tuttavia, della filiera produttiva di farmaci generici stretta in una morsa tra l’aumento dei costi di approvvigionamento e la spinta al ribasso dei prezzi finali, dove i due fattori esercitano una pressione selettiva che mette a rischio, da un lato, la biodiversità del settore, ma che dall’altro rappresenta una garanzia di “affidabilità e bontà” del prodotto finito per il cittadino/paziente.

In commercio da oltre 20 anni, sebbene in ritardo rispetto a contesti europei, i generici stanno via via equiparando, in alcuni casi anche superando, l’indice di gradimento dei farmaci “originali”, fino a diventare di necessaria utilità in contesti di crisi.

Il rapporto Nomisma

L’Osservatorio permanente sul sistema dei farmaci generici, frutto della collaborazione fra Nomisma ed Egualia – Industrie farmaci accessibili, nel rapporto 2023 sul “Sistema dei farmaci generici in Italia” ha tracciato un quadro a metà fra il tranquillizzante e il critico.

Da un lato, focalizzandosi su un aspetto di interesse, quale la spesa farmaceutica territoriale, i dati di mercato attestano una crescita, nel 2021, che si assesta a 21,2 miliardi di euro, pari a un incremento del 3,2% rispetto al 2020 e dello 0,5% rispetto ai valori pre-pandemici (2019). Tale incremento è ascrivibile in larga parte alla componente privata, inclusiva della quota di compartecipazione del cittadino, che passa da 8,7 a 9,2 miliardi di euro, con un aumento rispetto all’anno precedente del 6,3%, mentre più contenuta è la crescita della componente di spesa pubblica.

Le modificazioni registrate nell’ultimo decennio fanno riferimento soprattutto alle prime due componenti di spesa per incidenza: farmaci di classe C con ricetta e medicinali di automedicazione, entrambe ridotte in quote, passando la prima dal 42% del 2011 al 38% del 2021 e la seconda dal 28% al 25%. Quote erose soprattutto da farmaci di fascia A acquistati privatamente dai cittadini, che passano dal 13% al 18%. Resta pressoché stabile la quota relativa alla compartecipazione del cittadino (16% al 2021). Guardando l’altra faccia della medaglia, il rapporto evidenzia una potenziale criticità del settore legata alla produzione.

Infatti, l’aumento dei costi delle materie prime e dei beni energetici e alcuni aspetti logistici stanno generando, da un lato, carenza di componenti fondamentali per realizzare e confezionare il prodotto finito, dall’altro, consolidando la prospettiva che sempre più imprese possano ritirarsi dal mercato provocando una sensibile riduzione della biodiversità, con le conseguenze che ne potrebbero derivare in caso di carenza di specifici farmaci.

Il farmacista e il ruolo dei generici

Cruciale e fra i principali fautori della diffusione e penetrazione sul mercato dei generici: nel suo ruolo di counsellor, il farmacista ha avuto la mission e l’opportunità, laddove la prescrizione medica prevedesse la doppia opzione terapeutica (farmaco branded e/o generico) di educare il paziente/ cittadino non solo all’acquisto e al corretto uso e/consumo del generico, ma anche di essere “tutor” nel suggerimento di una terapia più idonea e vantaggiosa, in termini di efficacia e di contenimento della spesa per la persona.

«Le patologie croniche, dal diabete all’ipertensione», spiega Antonello Mirone, presidente di Federfarma Servizi, «sono l’ambito in cui il farmaco generico ha avuto la massima introduzione, in termini di quote di mercato, rappresentando per il cittadino un’opportunità fondamentale nella continuità terapeutica. Vi è evidenza, infatti, che una fascia di popolazione non potrebbe curarsi senza il ricorso al generico, grazie al beneficio della forte riduzione della spesa medica».

Il generico ha avuto ricadute positive anche per il sistema in una visione di sostenibilità, in un contesto di costante incremento delle cronicità, legate prevalentemente all’invecchiamento della popolazione, con sensibile aumento anche dei costi delle cure assistenziali.

Quindi, lo “stato dell’arte” dei generici vede, da un lato, l’indispensabile utilità: «Laddove nel corso del tempo si sono registrate alcune carenze di specifici farmaci», prosegue il Presidente, «il ricorso al generico è stato provvidenziale, finanche salvifico, consentendo di aver un’alternativa, efficace e disponibile, da proporre al cittadino come terapia sostitutiva, o anche in necessità emergenziali quali una “crisi” produttiva o l’irreperibilità di alcuni marchi». Dall’altro, però, verso i generici esiste ancora un piccolo zoccolo di scetticismo, soprattutto da parte della popolazione meno istruita, e non ultimo si sta assistendo a una selezione naturale nel posizionamento delle aziende che sul mercato operano nel settore del farmaco equivalente.

Secondo una selezione naturale, sopravvivono realtà con capacità organizzative, anche distributiva, disponibilità di risorse da investire nel proprio settore, con stabilimenti di alto grado di efficienza e di “sicurezza” produttiva. «Quest’ultimo dato», conclude Mirone, «non va letto come negativo, al contrario rappresenta per il cittadino una garanzia di affidabilità. Al momento, inoltre, non si palesa la possibilità che si creino oligopoli in quanto il mercato è abbastanza ricco di alternative e opportunità». La tutela, almeno farmaceutica, per la popolazione è garantita.