In ambito clinico, l’uso delle tecnologie digitali è decisamente pervasivo: spazia dal trattamento di grandi moli di dati (i cosiddetti big data), utile nell’analisi e nella previsione dell’andamento delle patologie e nella conseguente programmazione di eventuali azioni e di allocazione di risorse, per arrivare alla telemedicina e all’uso dell’intelligenza artificiale nella diagnosi e nella cura di pazienti con patologie complesse e croniche.
La digitalizzazione porta evidenti vantaggi ed è sicuramente un passaggio obbligato, ma bisogna procedere per gradi, con un’adeguata cautela. Infatti, tutte le azioni che si compiono nella migrazione (o all’ampliamento) verso il digitale comportano nuove sfide la cui soluzione deve avere due obiettivi precisi: anzitutto apportare un beneficio al paziente e in secondo luogo la sostenibilità.
Parlando dell’impatto, sia economico sia procedurale, delle nuove tecnologie digitali sul sistema sanitario nazionale, in occasione dell’evento Wired Health, Marco Marchetti, direttore Centro Nazionale Health Technology Assessment dell’Istituto Superiore di Sanità, ha evidenziato come l’introduzione di nuove tecnologie muti profondamente le modalità organizzative standard dei servizi cui oggi siamo abituati. Non è perciò sufficiente adottare nuove soluzioni, va cambiato tutto il sistema. Per questo, non si sta attrezzando solo L’Istituto Superiore di Sanità ma anche l’Agenzia Nazionale del Farmaco, l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali e le Regioni.
Cambiare con sistematicità
“Nell’ultimo anno – ha precisato Marchetti– abbiamo provato a lavorare con molte Regioni per cercare di mettere in atto una serie di interventi e di iniziative che permettano un approccio razionale, dove non si parli più del costo del singolo del dispositivo o di quel tale farmaco, ma piuttosto si valuti quale può essere il loro impatto complessivo sul percorso del paziente e quali sono i benefici apportati. Abbiamo quindi cercato di ridisegnare la governance del sistema, ma senza cambiare le norme vigenti”.
Marco Marchetti e il suo team stanno licenziando proprio in questi giorni un approccio unico, che metta insieme tutto quanto fatto sinora e che vada nell’ottica della sistematicità ai fini della digitalizzazione in sanità. Non solo. Deve permettere anche di definire quali devono essere le regole di ingaggio e di accesso al sistema perché il suo obiettivo è anche di favorire gli investimenti delle aziende offrendo certezza sui percorsi.
“Stiamo anche cercando di avere un orizzonte temporale con almeno una valenza su base triennale, se non addirittura quinquennale – ha chiarito Marchetti –, perché solamente su un periodo di questa dimensione riusciremo a vedere dei vantaggi”.
Oggi i meccanismi con cui vengono avviate le attività di ricerca non sempre coincidono con le esigenze informative che hanno i decision maker. Questo, nell’opinione di Marchetti, genera una grande sfida, che devono raccogliere sia i decisori sia le aziende che si trovano in qualche modo a reinventare, o comunque a fare un tuning, delle attività con cui vengono sviluppate le evidenze scientifiche.
L’innovazione deve essere a beneficio del paziente
“Nella mia esperienza – ha sottolineato Marchetti – mi sono reso conto che il 35 % dei dispositivi medici che entrano ogni anno nel mercato ha problemi di evidenza scientifica. Questo può dipendere dal fatto che sono frutto di studi di bassa qualità o perché invece di considerare anche gli aspetti rilevanti ai fini del beneficio complessivo del paziente sono stati misurati solamente i parametri tecnici”.
Una norma della legge di Stabilità 2018 prevede che per i prodotti che l’Agenzia Nazionale del Farmaco definisce innovativi venga calcolato l’impatto sul costo complessivo del paziente. Ciò comporta la necessità di far interagire diversi database: queste informazioni sono utili per la modulazione del Fondo dell’innovazione che oggi vale 1 miliardo di euro, ma potrebbe cambiare a seconda dei vantaggi che si ottengono. “Oggi però ci sono enormi difficoltà di carattere tecnico legate alla privacy – ha evidenziato Marchetti – e solo le aziende sanitarie sono in grado di trattare in modo adeguato i dati. Sono temi che non hanno bisogno di essere affrontati usando strumenti nuovi, ma necessitano della messa a sistema di quelli che già esistono. Non serve perciò valutare solo il farmaco o il dispositivo, ma va considerato anche il modello organizzativo e tutta l’infrastruttura, pure digitale, che impatta su tale modello”.
Accesso universale anche alle innovazioni tecnologiche
L’idea di Marchetti è di porsi nell’ottica di cercare di garantire equità e universalità di accesso alla sanità, razionalizzando e cercando di mettere attorno a un tavolo tutte le Regioni con l’obiettivo di farle parlare un linguaggio comune. “Stiamo cercando di fare una valutazione del fabbisogno, considerando anche l’evoluzione tecnologica – ha concluso Marchetti –. Ma nel fare questo non possiamo parlare di innovazione temporale breve perché se consideriamo farmaci che da infusionali diventano orali o strumenti che permettono di controllare a distanza il paziente dobbiamo avere una programmazione di alcuni anni. Occorre avere chiari gli obbiettivi e il metodo. Questo è quanto stiamo facendo, ma serve una marcia in più, che il legislatore dovrà dare, ovvero un orizzonte temporale adeguato all’evoluzione naturale delle diverse malattie”.