Rapporto Censis-Rbm: verso il secondo pilastro in sanità?

In attesa di capire quali saranno le politiche “di cambiamento” messe in atto dal nuovo governo giallo-verde, la fotografia aggiornata del comparto sanità è stata scattata dal Rapporto Censis-RbmAssicurazione Salute sulla sanità pubblica, privata e intermediata”, presentato ieri nel corso del Welfare Day 2018.
Una fotografia che testimonia una volta di più l’inesorabile arretramento della sanità pubblica, a cui si affianca la parallela crescita di quella privata e della spesa out-of-pocket affrontata direttamente dai cittadini. Quest’ultima, indica il rapporto, è aumentata del 9,6% nel periodo 2013-2017, per un totale di 40 miliardi di euro a fine 2018 (contro i 37,3 del 2017, + 7,2%). Spesa sanitaria che, oltretutto, è aumentata quasi del doppio rispetto all’aumento dei consumi complessivi fatto segnare nello stesso arco di tempo 2013-2017 (+5,3%).

Redditi sempre più a rischio nelle fasce basse

Più della metà degli italiani (54,7%) è convinto che non si hanno più opportunità di diagnosi e cura uguali per tutti. Secondo il Rapporto Censis-Rbm, nel 2017 sarebbero stati 44 milioni le persone che hanno messo mano al portafoglio per accedere alle cure sanitarie, per intero o in parte con il ticket. Un dato che viene meglio contestualizzato andando a considerare anche come all’aumento delle spese sanitarie private osservato nel periodo 2014-2016 (+6,4%, in media 86 euro in più nell’ultimo anno per famiglia) faccia da contraltare la pressoché totale stagnazione dei consumi delle famiglie operaie (+0,1% nello stesso periodo). Sarebbero quindi i ceti più bassi a soffrire maggiormente del progressivo spostamento verso un modello sanitario a forte partecipazione privata; il Rapporto indica anche che la tredicesima di un operaio (quasi 1.100 euro all’anno) viene ormai investita in cure sanitarie per sé e i familiari. Sull’altro lato della bilancia, gli imprenditori sembrano consumare di più (+6%) rispetto alla crescita di spesa sanitaria privata da essi affrontata (+4,5%: in media 80 euro in più nell’ultimo anno).
La fragilità delle classi sociali più basse è testimoniata anche dal crescente ricorso all’indebitamento per pagare le cure sanitarie: sarebbero circa 7 milioni, indica il Raporto, gli italiani che hanno scelto questa via nel 2017, a cui si aggiungono i 2,8 milioni di persone che hanno dovuto usare il ricavato della vendita di una casa o svincolare risparmi. Meno della metà dei cittadini (41%) è in grado di sostenere le spese sanitarie esclusivamente con il proprio reddito; il 23,3% integra coi risparmi, mentre il 35,6% deve usare i risparmi o fare debiti (in questo caso la percentuale sale al 41% tra le famiglie a basso reddito). Ne risulta un generale taglio di altre spese (47%, percentuale che sale al 51% tra le famiglie meno abbienti).

Farmaci e visite specialistiche di tasca propria

Nell’ultimo anno l’esborso medio è stato di 655 euro per cittadino. La spesa out-of-pocket per i farmaci (messa di atto da 7 italiani su 10, per una spesa complessiva di 17 miliardi di euro) è al primo posto della classifica tra i 150 milioni di prestazioni sanitarie pagate direttamente dagli italiani. Molto alti anche i numeri di spesa privata per accedere alle visite specialistiche, a cui hanno fatto ricorso 6 cittadini su 10 per un totale di € 7,5 miliardi, seguite da prestazioni diagnostiche e analisi di laboratorio (5 su 10, € 3,8 miliardi), prestazioni odontoiatriche (4 su 10, € 8 miliardi) e protesi e presidi (1 su 10, quasi 1 miliardo di euro).
Il Rapporto segnala anche una spinta della popolazione (almeno 13 milioni) a contrastare le dinamiche che spingono alla mobilità sanitaria fuori regione, riflessa dallo slogan «ognuno si curi a casa propria», e forte sarebbe anche la pressione dell’opinione pubblica (con una stima di 21 milioni di italiani) a favore di limitazioni delle risorse sanitarie pubbliche o l’imposizione di una tassazione aggiuntiva per le persone con stili di vita nocivi (dai fumatori agli alcolisti, dai tossicodipendenti agli obesi).

Verso il secondo pilastro in sanità?

La spesa sanitaria di tasca propria è la più grande forma di disuguaglianza in sanità. Questa situazione può essere contrastata solo restituendo una dimensione sociale alla spesa sanitaria privata attraverso una intermediazione strutturata da parte del settore assicurativo e dei fondi sanitari integrativi – ha commentato l’amministratore delegato di Rbm Assicurazione Salute, Marco Vecchietti -. Bisogna superare posizioni di retroguardia e attivare subito, come già avvenuto in tutti gli altri grandi Paesi europei, un secondo pilastro anche in sanità che renda disponibile su base universale – quindi a tutti i cittadini – le soluzioni che attualmente molte aziende riservano ai propri dipendenti”.
Secondo l’esperto di assicurazioni, questo nuovo modello permetterebbe di dimezzare il costo delle cure, con un risparmio per ciascun cittadino di circa 340 euro all’anno. “I soldi per farlo già ci sono, basterebbe recuperarli dalle detrazioni sanitarie che favoriscono solo i redditi più elevati e promuovono il consumismo sanitario. Ci dichiariamo sin d’ora disponibili ad illustrare al nuovo governo la nostra proposta, che può assicurare oltre 20 miliardi di risorse da investire sulla salute di tutti”, ha proposto Vecchietti.

Una sanità più facilmente accessibile

Secondo il Rapporto Censis-Rbm, un altro punto su cui porre attenzione è rappresentato dalla perdita di ore di lavoro per accedere alle prestazioni sanitarie, in quanto le strutture di cura sono chiuse in orari non lavorativi. Il 68% degli occupati avrebbe fatto ricorso ad assenze dal lavoro per questo motivo. Rimane aperto l’annoso problema delle liste d’attesa, che però sono state superate da ben 12 milioni di italiani grazie a conoscenze e raccomandazioni . Secondo i dati del Rapporto, il 37,8% degli italiani proverebbe rabbia verso il Servizio sanitario a causa delle liste d’attese troppo lunghe o i casi di malasanità; a questi si aggiunge il 26,8% di critici per il fatto di dover pagare di tasca propria troppe prestazioni e perché le strutture non sempre funzionano come dovrebbero. Solo il 17,3% dei cittadini si sentirebbe, invece, sufficientemente protetto in caso di problemi di salute dall’attuale Servizio sanitario, e ancor meno (11,3%) prova un sentimento di orgoglio per il fatto che la sanità italiana sia tra le migliori al mondo.
La fotografia scattata da Censis e Rbm indica chiaramente il disincanto della popolazione nei confronti della politica, con ben il 63% degli italiani che non si attende nulla su questo fronte riguardo al miglioramento della sanità. Le troppe promesse mancate e le poche idee valide espresse dai politici sono il problema principale per il 47% dei cittadini, mentre per il 24,5% i politici di oggi non hanno più le competenze e le capacità di un tempo.

Le reazioni

Il nuovo ministro per la Salute, la pentastellata Giulia Grillo, ha commentato il Rapporto Censis-Rbm attraverso un post sulla sua pagina Facebook, in cui annuncia come il nuovo governo intenda lavorare per garantire la necessaria equità nell’accesso alle cure. “In questi anni abbiamo assistito a una crescita delle disuguaglianze socioeconomiche che ha portato tanti, troppi, nostri cittadini a indebitarsi per accedere alle prestazioni sanitarie o a dovervi rinunciare. Invertire questa tendenza é una priorità ineludibile e il Ministero che rappresento nei prossimi mesi elaborerà soluzioni che garantiscano su tutto il territorio nazionale adeguati livelli di assistenza. Certamente sarà indispensabile il supporto di tutti gli attori presenti all’interno del nostro Sistema ma, sono certa, tutti insieme potremo dare ai cittadini nel nostro Paese la sanità che meritano”, scrive Grillo su FB.

Il nostro servizio sanitario universalistico incontra obiettive difficoltà derivanti dal fatto che il Paese ha a sua volta problemi economici strutturali, come prova la mancata crescita del Pil. Diventa indispensabile valutare seriamente le soluzioni che potrebbero aiutarci ad affrontare il cambiamento”, ha commentato Andrea Mandelli, deputato di Forza Italia e presidente di Fofi, dalle pagine de Il Farmacista, il quotidiano online della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani.
Secondo Mandelli, qualsiasi cambiamento deve poggiare su dati di realtà ed è quindi necessario scegliere a ragion veduta tra le diverse opzioni possibili, tenendo ben presente che “quello che non possiamo fare è ritardare la risposta a un tema prioritario. Siamo il secondo Paese al mondo per anzianità della popolazione, abbiamo una sanità ancora centrata sull’ospedale, mentre l’assistenza sul territorio, oggi prioritaria, non è ancora decollata. Servono idee ma anche atti concreti, perché l’insoddisfazione dei cittadini della gente è figlia anche delle risposte che lo Stato non dà ai bisogni fondamentali; in questo senso non dare risposta al bisogno di salute non può che generare ulteriore tensione”.