Farmacisti, medici di famiglia, specialisti, infermieri di comunità devono lavorare in sinergia per la presa in carico integrata dei pazienti cronici, che nel nostro Paese sono circa 24 milioni e che sono destinati a essere sempre di più. In proposito, molto è stato fatto, ma tanto resta ancora da fare
Sos cronicità. Una condizione che, di questo passo, rischia di diventare uno dei mali peggiori del Servizio sanitario nazionale e degli italiani. Secondo il rapporto Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni del 2019, i malati cronici nel 2018 sono 24 milioni, di cui 12,5 milioni con più di una patologia cronica. Cifre che, considerando il progressivo invecchiamento della popolazione, sono destinate ad aumentare: secondo le proiezioni, infatti, nel 2028 i malati cronici saranno 25 milioni, mentre i multi-cronici saliranno a quota 14 milioni. Dai dati emerge che le donne sono più soggette a queste malattie (42,6%) rispetto agli uomini (37%) e che sussistono notevoli differenze tra le regioni: il primato di malati cronici si registra in Calabria e in Liguria, mentre a Bolzano si attestano i numeri più esigui. Dal punto di vista economico, per gestire questi pazienti si spendono in Italia, attualmente, circa 66,7 miliardi di euro all’anno. Nel dettaglio, l’esborso medio annuo per una persona affetta da scompenso cardiaco è di 1.500 euro, per una con malattie ischemiche cardiache è di 1.400 euro, per una con diabete di tipo 2 è di 1.300. E ancora, chi è affetto da osteoporosi costa circa 900 euro all’anno e chi soffre di ipertensione 864. Andando avanti così, si prevede che nel 2028 si spenderanno in tutto 70,7 miliardi di euro.
Un piano nazionale che punta alla sinergia
È in questo contesto che il 15 settembre 2016, a partire da un accordo tra Stato e Regioni, è stato avviato il Piano nazionale cronicità, cui è seguito, il 24 gennaio 2018, l’insediamento di una apposita Cabina di regia, con il compito di monitorare l’attuazione dei principi contenuti nel documento stesso. Ebbene, uno di questi ultimi è proprio l’alleanza tra i vari professionisti che operano soprattutto sul territorio, ambito in cui principalmente si estrinseca la presa in carico del paziente cronico. In particolare, all’interno del testo, si fa riferimento al medico di medicina generale 48 volte, al pediatra di libera scelta 30, all’infermiere 36, al farmacista o alla farmacia 31, allo specialista 13.
La “ricetta” di alcune regioni
Sulla scia delle indicazioni nazionali contenute nel Piano, ogni Regione ha poi sviluppato il proprio modello per promuovere l’integrazione tra gli operatori sanitari nell’ambito della cronicità. La Lombardia, per esempio, dal gennaio del 2018 punta sulla nuova figura del gestore, che può essere una struttura sanitaria o un’associazione di medici di medicina generale e che, come una sorta di regista, ha il compito di coordinare gli interventi dei vari professionisti, ovvero medici di medicina generale, specialisti, farmacisti, infermieri e altri, sulla base di un Piano assistenziale individuale (Pai) per ciascun paziente, pubblicato sul Fascicolo sanitario elettronico e, dunque, accessibile a tutti gli operatori. Al centro del modello dell’Emilia Romagna e della Toscana ci sono, invece, le Case della salute, presidi territoriali che aggregano sotto lo stesso tetto una varietà di figure professionali, dai medici di famiglia ai pediatri di libera scelta, dai clinici specialisti agli infermieri, dalle ostetriche agli operatori socio-assistenziali, senza escludere associazioni di pazienti e di volontariato.
La sfida del sistema è quella di costruire équipe multiprofessionali e interdisciplinari in grado di promuovere la cosiddetta medicina d’iniziativa, nella quale il paziente viene attivamente monitorato attraverso visite, controlli ed esami programmati al fine di prevenire un eventuale aggravamento della patologia. In Veneto, dove è attivo il sistema Adjusted clinical group, che suddivide la popolazione in vari gruppi sulla base dei bisogni di salute, sono stati costituiti i care management team, ovvero équipe che coinvolgono, a seconda dei casi, medici di famiglia, medici della continuità assistenziale, specialisti, infermieri e altri professionisti e che sono in grado di intervenire nell’ambito della cronicità sia semplice sia complessa e avanzata. Invece, nel 2018, in Puglia è stato attivato il progetto Puglia Care 3.0, un’iniziativa che prevede la sinergia tra i medici di famiglia e gli infermieri professionali di studio, affidando a questi ultimi le funzioni di case manager, una sorta di tutor del paziente cronico nel percorso assistenziale.
Bisogna parlare la stessa lingua
A esprimere un parere sulle sinergie tra gli operatori sanitari, al di là di come sono state declinate a livello regionale, sono i rappresentanti delle varie categorie professionali. I farmacisti, attualmente impegnati nella sperimentazione della farmacia dei servizi, sono convinti dell’utilità di una collaborazione tra tutte le figure che si occupano del paziente cronico. «Per organizzare al meglio l’assistenza sul territorio serve una forte alleanza tra medici, farmacisti e infermieri che abbia al centro il paziente», sostiene Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli ordini dei farmacisti (Fofi). «L’obiettivo è lavorare insieme nel rispetto delle reciproche competenze parlando, però, tutti la stessa lingua e fornendo al paziente lo stesso messaggio».
Pochi progetti condivisi
È proprio sulle competenze, ma anche sull’importanza della distinzione dei ruoli, che insiste Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale (Simg). «Sulla carta, tutti gli attori concorrono, ciascuno per la propria parte, alla presa in carico del paziente cronico», afferma. «Il medico, però, dispone di una lista di pazienti fissi, con nome e cognome, che lo hanno scelto sulla base di un rapporto fiduciario e dei quali conosce la storia clinica, mentre il farmacista ha dei clienti, che possono di volta in volta rivolgersi a esercizi diversi. Per questo, nel primo caso, è molto più facile fornire indicazioni ad hoc e garantire un’effettiva continuità di assistenza nel lungo periodo rispetto al secondo caso. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che noi siamo medici del Servizio sanitario nazionale, mentre i farmacisti erogano prodotti e prestazioni per conto di tale Servizio. Chiarito questo, il farmacista può essere molto utile per rafforzare l’azione del medico, raccomandando al paziente di assumere con regolarità la propria terapia, per esempio, contro l’ipertensione o contro la depressione, e incentivando in tal modo la compliance. Purtroppo, in tal senso, negli ultimi due anni non c’è stato alcun progetto comune a livello nazionale tra le due categorie, anche se qualche iniziativa è stata registrata a livello regionale o provinciale».
La proposta dei micro-team
Attualmente, la proposta collaborativa su cui puntano i medici di famiglia ruota attorno al cosiddetto micro-team, un modello che assicuri l’erogazione continuativa di alcune prestazioni standard, formato dal medico di medicina generale, da un collaboratore di studio e da un infermiere. Questa équipe di base può poi coinvolgere lo specialista ambulatoriale e le farmacie di comunità. «I micro-team sono come mattoni Lego», afferma Silvestro Scotti, segretario della Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg), «a cui possono aggiungersi, per esempio, le farmacie di comunità per creare una squadra ampliata che operi in modo coordinato. Poiché c’è una farmacia ogni quattro medici di famiglia, ogni farmacia potrà svolgere la propria attività in collaborazione con quattro micro-team».
Arriva l’infermiere di famiglia
E mentre i medici si danno da fare per promuovere questo modello, una nuova figura che fa capolino nel Patto per la salute 2019-2021 è l’infermiere di famiglia o di comunità, un professionista che agisce per rispondere ai bisogni di salute della popolazione di uno specifico territorio, soprattutto delle persone più fragili e delle loro famiglie. Lo fa integrandosi con gli altri servizi sanitari e facendo da tramite tra l’assistito e il medico di fiducia. «La finalità è lavorare insieme per gestire congiuntamente le cronicità», spiega Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi). «Grazie a questa strategia, il medico di medicina generale può focalizzarsi meglio sui problemi di salute più complessi dal punto di vista clinico-terapeutico, affidando i pazienti più onerosi dal punto di vista assistenziale all’infermiere, nell’ottica della cooperazione professionale e della condivisione delle cure alla persona».
Il Fascicolo sanitario elettronico
A poter rendere più agevole la comunicazione tra i vari professionisti è senza dubbio lo sviluppo delle tecnologie. In proposito, lo scorso ottobre l’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) ha annunciato che tutte le Regioni hanno finalmente completato, aderendo all’infrastruttura nazionale, l’attivazione del Fascicolo sanitario elettronico, un documento che costituisce la base della sanità digitale, al cui interno è possibile rintracciare i ricoveri ospedalieri, le visite specialistiche ambulatoriali, gli accessi al pronto soccorso del paziente. Il fascicolo contiene, inoltre, il Dossier farmaceutico, una sezione nella quale vengono registrati i medicinali assunti dall’assistito. «La presenza di questo dossier è fondamentale», sostiene Mandelli. «Innanzitutto perché consente di sapere quanti e quali farmaci assume il paziente che si rivolge a differenti professionisti e ricorre all’automedicazione. Poi perché costituisce una base comune per costruire un flusso di informazioni tra tutti gli attori della cura, sul territorio e in ospedale. Infine, perché promuove la collaborazione tra i professionisti, che già esiste in molte situazioni, ma che deve essere standardizzata, costruendo processi i cui risultati siano misurabili, in modo da poter individuare sia le eventuali carenze sia le buone pratiche da generalizzare». A ribadire l’utilità di questi strumenti per l’effettiva sinergia inter-professionale è Maurizio Pace, segretario di Fofi: «Grazie alla documentazione digitale è possibile attuare un più stretto collegamento tra i professionisti, come il medico di medicina generale, lo specialista, l’infermiere, il farmacista, ma anche tra il territorio e le strutture del servizio sanitario».
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