Cosa posso raccontarvi di Alberto Ambreck che non sia già stato scritto nei giorni successivi alla sua scomparsa? Potrei parlarvi del farmacista lungimirante, sostenitore di una professione in continuo divenire, del sindacalista indomito e a volte scomodo, del grande imprenditore capace di anticipare i bisogni dei cittadini. Ma non gli renderei onore: Alberto Ambreck è stato un uomo e un titolare straordinario, molto amato dai suoi collaboratori.

Era un uomo di grande energia e intelligenza, metteva in pratica una visione molto personale della professione e trasmetteva la sua passione a tutti noi. Ci ricordava che “ogni domanda sulla salute non è una richiesta qualsiasi” e ci esortava a essere sempre disponibili e pronti a elargire il consiglio migliore. Ci diceva che la più grande capacità di un farmacista è quella di saper cogliere in due minuti l’esigenza di salute del cliente ed entrare in sintonia con il suo “sistema nervoso”.

La priorità alle persone

Ci esortava a sorridere, ad amare la nostra professione anche nei momenti difficili. Aveva deciso di tenere aperta la farmacia h24 ogni giorno, ma non c’era Natale o altra festa comandata in cui non si presentasse in farmacia per sostenere e condividere il sacrificio dei suoi. Non voleva “mancanti o sospesi”, non amava le file ma non voleva che lavorassimo con la fretta, per questo motivo aveva deciso di investire nei suoi collaboratori senza pensare all’aumento dei costi, perché la farmacia “la fanno le persone”.

Dotato di grande ironia, sapeva scherzare con tutti e considerava i suoi collaboratori come una grande famiglia, dedicando a ognuno un pensiero che lo faceva sentire speciale. E noi ricambiavamo questo affetto accettando i sacrifici richiesti da una realtà tanto impegnativa.

Sapeva sdrammatizzare ma non ammetteva errori, ci chiedeva di essere sempre i numeri uno, animato da un costante desiderio di innovare. Fino all’ultimo ci chiedeva “cosa mi proponete di nuovo?” e “cosa possiamo inventarci?”. Questa domanda riecheggia tra noi anche ora che lui non c’è più. Non ci ha mai lasciato soli, neppure negli ultimi tempi quando gli acciacchi dell’età gli impedivano di venire in farmacia regolarmente. Sapeva delegare ma ci telefonava spesso e ci faceva sentire il suo sostegno. La sua prima domanda era sempre rivolta al benessere del gruppo di lavoro.

È stato un grande imprenditore, ma il suo primo obiettivo non era il fatturato: credeva nel ruolo della farmacia come servizio pubblico e le assegnava un’importanza sociale anche a discapito di facili guadagni perché per lui la credibilità professionale e l’immagine offerta ai cittadini valevano “più di una pagina acquistata sui giornali”. Quest’idea vincente di farmacia è l’eredità che ci lascia. Mi piacerebbe che la sua esperienza fosse fonte di ispirazione per molti colleghi quando penseranno al futuro della loro attività.