Clienti o pazienti? Innanzitutto, persone con bisogni di salute

Per arrivare a una medicina delle relazioni, che conosca la malattia anche attraverso il vissuto del malato, è necessaria una giusta alleanza terapeutica e comunicativa tra professionista della salute e paziente

C’erano una volta la malattia, il dottore, la medicina e, qualche volta, anche il malato! Oggi leggiamo di empowerment ed engagement del paziente, immerso in una latente e talora manifesta health iliteracy! Con riferimento alla persona malata, la parola empowerment è spesso resa con il termine ‘esperto’. Posto che alla expertise del paziente, non può concorrere la sola esperienza di malattia, assumono importanza centrale l’informazione validata, l’educazione e la comunicazione condivisa con i professionisti sanitari, in grado di dare forza alle scelte consapevoli del paziente.

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L’importanza di una corretta informazione

Il paziente empowered è dunque realmente il più informato? La risposta a questa domanda, attraverso diverse valutazioni (indici bibliometri classici, filtri su pubblicazioni, valutazione di risorse on line ecc.) conferma l’impossibilità di contare su modalità condivise per giudicare univocamente l’affidabilità dell’informazione sui temi della salute. Da non trascurare, nonostante i recenti progressi, è il fatto che, a sfavore dell’informazione corretta nei confronti dei cittadini, tutt’ora esiste un forte gap tra il linguaggio scientifico e quello più facilmente comprensibile dalla popolazione e dagli utenti. A questo proposito merita una citazione Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, che, intervenendo sul tema, afferma: “Senza sforzi di health literacy (alfabetizzione scientifica), il rischio per il nostro Sistema Sanitario Nazionale è che i cittadini siano abbandonati a se stessi o peggio, strumentalizzati da qualcuno che potrebbe avere altri interessi”.  Il paziente lasciato solo potrebbe reagire in diversi modi: sprofondando in ulteriore solitudine e timore per la sua salute, creando ulteriore sfiducia negli esperti e cercando disordinatamente fonti di informazione non qualificate, che fanno assaporare un falso senso di libertà e autonomia al prezzo però di maggiore insicurezza e responsabilità personali, piuttosto che naufragare in percorsi che nulla hanno e che fare con la salute e che strumentalizzano invece la malattia e il dolore.

La cronaca di questi anni, riguardo l’abbandono di percorsi terapeutici validati, per abbracciare proposte di guarigione fuorvianti e pericolose da parti di tanti pazienti, piuttosto che la resistenza nei confronti dei vaccini o l’adozione di stili di vita inadeguati, costituiscono infelice dimostrazione.  Non secondaria, dunque, è la condizione secondo cui il paziente esperto non debba essere possibilmente isolato, ma connesso a comunità di pazienti consapevoli e disponibili a mettere a frutto saperi ed esperienze a vantaggio di una collettività arricchita: le associazioni di pazienti.

I livelli di coinvolgimento dei pazienti nel percorso sanitario

I tre livelli fondamentali di possibile coinvolgimento del paziente nel percorso sanitario secondo la recente letteratura scientifica [1] sono:

  • l’ambito clinico e di ricerca (contatto diretto con percorso di cura e ricerca);
  • i processi di organizzazione dell’offerta sanitaria (centri di cura, ambulatori e presidi sanitari);
  • il livello normativo (direttive per ottimizzare il funzionamento dei servizi sanitari, l’iter approvativo dei medicinali).

Il paziente informato e le associazioni che lo rappresentano, più che in passato, sono maggiormente coinvolte nelle fasi approvative e regolatorie ma ad oggi sono quasi del tutto trascurate quando si tratta di determinare le priorità di ricerca. Nonostante ciò si sottolinea su più fronti che la misurazione dell’efficacia, tollerabilità o della sicurezza delle cure trasmessa dal paziente consapevole e partecipativo siano fondamentali per l’ottimizzazione di qualsiasi intervento sanitario. Scientificamente documentato anche in Italia, il fenomeno dell’under reporting (sottostima da parte dei medici degli effetti collaterali dei medicinali, rilevati invece soggettivamente dai paziente in cura) [2], è ora attentamente studiato più che in passato. Attualmente, le valutazioni appaiono estremamente significative in ambito oncologico. Prospettive di collaborazione/partecipazione da parte dei pazienti (protagonisti e generatori di risultati di evidenza scientifica) per la farmacovigilanza, si stanno dimostrando promettenti anche per l’utilizzo dei farmaci innovativi (oncologici e non).

La formazione sulle dinamiche di relazione con il paziente

È necessario che i pazienti siano realmente sempre più informati o formati? Senza dubbio,  ma per tale traguardo, sono egualmente indispensabili professionisti della salute anch’essi più formati anche nelle dinamiche di relazione (nella comunicazione, nella gestione di eventi negativi, nel favorire decisioni condivise, implementare la capacità di ascolto), che possano affiancare il paziente in ragionamenti a sostegno della sua necessità/volontà di partecipare attivamente al miglioramento della propria condizione di salute. Nelle tappe di empowerment del cittadino-paziente tante sono le esperienze in evoluzione;  progressivamente, seppur tardivamente, si coglie il senso e la necessità della trasformazione del rapporto tra il medico/operatore sanitario e malato, da una relazione esclusivamente impositiva e paternalistica a un maggiore supporto alle decisioni condivise riguardanti la salute del cittadino, senza abdicare però alla responsabilità professionale sanitaria. Oggi, la buona medicina può crescere anche attraverso l’integrazione tra evidence based medicine e narrative based medicine, tra la medicina basata su prove validate e condivise nel mondo scientifico e la medicina basata sull’ascolto della narrazione del vissuto e dei bisogni del malato.

Il ruolo della farmacia

Nella nuova alleanza medico/professionista sanitario e paziente, quanto spazio c’è nella Farmacia di comunità, presidio strettamente incardinato nel Servizio Sanitario e luogo privilegiato di ascolto? Senza presunzione in tal senso, sempre in prima linea, la Farmacia non può tacere anche una legittima evidence based pharmacy! In questo ambito, è doveroso citare ancora una volta lo studio clinico RE I-MUR (Randomized Evaluation Italian-Medicines Use Review -revisione dell’uso dei farmaci- prestazione professionale avanzata indirizzata a migliorare la conoscenza del paziente dei medicinali, identificare effetti collaterali, migliorare l’aderenza del paziente alle indicazioni del medico prescrittore e ridurre gli sprechi prodotti, quando i farmaci vengono utilizzati male), patrocinato da Fofi, in quanto si è dimostrata ricerca attenta anche al feed-back value based dei pazienti. Nello specifico, utile ricordare che, al di là dei rilevanti risultati clinici, oltre il 75% dei pazienti inclusi nello studio ha dichiarato di aver sperimentato benefici soggettivi e oltre l’80% si è trovato più a suo agio con la terapia prescritta, nella II fase pilota dello studio clinico e nella III fase definitiva nazionale. Con soddisfazione, anche in questo 2017, lo studio RE I-MUR, di cui ricordiamo l’arruolamento di 884 pazienti maggiorenni affetti da asma bronchiale, seguiti per 9 mesi da 216 Farmacisti di comunità distribuiti in 15 Regioni italiane, continua a riscuotere rilevante interesse in ambito scientifico internazionale.

In conclusione, clienti o pazienti?

Certamente persone. Persone con bisogni di salute, il cui soddisfacimento continua a essere fortemente influenzato dalle caratteristiche individuali, dalle condizioni socioeconomiche e, ancora troppo, dal livello di istruzione, a loro volta condizionanti la capacità di ‘scegliere’ nell’ambito delle offerte di un Sistema Sanitario ancora faticosamente ispirato a criteri di universalità, uguaglianza ed equità di accesso alle cure. Il cammino verso una medicina delle relazioni, in grado di conoscere la malattia anche attraverso il vissuto del malato, appare impresa ardua senza la giusta alleanza terapeutica e comunicativa. Tocca alla medicina adeguarsi alla persona malata, perché il tempo in cui era il malato ad adeguarsi passivamente alla medicina è forse definitivamente tramontato.

Note

[1] Carman KL, et al. Patient and family engagement: a framework for understanding the elements and developing interventions and policies. Health Affairs 2013;32:223-31

[2] Di Maio M, et al. Symtomatic toxicities experienced during anticancer treatment: agreement between patient and physician reporting in three randomized trials. J Clin Oncol 2015;33:910-5.

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