Covid e screening in farmacia: un’ipotesi possibile?

Un’indagine condotta dai neurologi del dipartimento di Scienza della salute dell’Università di Milano ha evidenziato, per il Covid-19, nuovi sintomi che possono indirizzare il medico a un approfondimento della condizione del proprio paziente molto più precocemente. Anche la farmacia, presidio sanitario che in questo periodo emergenziale è stato impegnato in prima linea nella lotta alla diffusione, potrebbe diventare un hub privilegiato di valutazione preventiva

In una farmacia ogni giorno entrano centinaia di persone e durante l’emergenza sanitaria generata dalla pandemia di Covid-19 i farmacisti, anche con dispositivi di protezione insufficienti, al pari di medici e paramedici, si sono impegnati in prima linea sia nelle farmacie di comunità, rimaste sempre aperte per garantire una continuità di servizio soprattutto nelle aree interessate dai focolai infettivi, sia negli ospedali.

Screening in farmacia per prevenire Covid-19

Sorveglianza sul territorio

Per questo presidio sanitario potrebbe ora profilarsi una funzione del tutto particolare. L’occasione può nascere dalla messa a punto di un protocollo SCREENING anche in farmacia epidemiologico con una plusvalenza preventiva creato sulla falsa riga di un recente survey nazionale condotto a tappeto sui medici italiani tramite un questionario inviato online dai neurologi del dipartimento di Scienze della salute dell’Università di Milano diretti da Alberto Priori che ha dato risultati inattesi.

Nuovi sintomi

L’indagine ha evidenziato, infatti, nuovi sintomi che, settimane prima dell’esordio degli ormai noti classici sintomi dell’infezione da Covid-19, possono indirizzare verso un precoce approfondimento mirato tramite il test sierologico rapido o, laddove disponibili, con i tamponi nasofaringei, accelerando i tempi d’intervento terapeutico e socio-comportamentale e intercettando precocemente i contatti di chi è ancora asintomatico. Se i risultati preliminari finora raccolti dal gruppo di Priori saranno confermati (il numero delle risposte continua a crescere), anche la farmacia, in virtù della sua capillare diffusione sul territorio e del maggior numero di contatti con soggetti paucisintomatici, potrebbe diventare un hub privilegiato di valutazione preventiva nella Fase 2, 3 eccetera agendo a monte del medico.

Quali sintomi

I sintomi rilevati dall’indagine condotta dal gruppo di Priori vanno al di là della febbre, della tosse secca e della fame d’aria da dispnea riportati da tutti i media nelle ultime settimane e della cosiddetta polmonite interstiziale che caratterizza i casi più gravi e balzata agli onori della cronaca in occasione di questa pandemia. Al di là della gravità di quest’ultimo, i sintomi dell’infezione da Covid-19 sono grosso modo simili a quelli delle recenti infezioni Sars (Severe acute respiratory syndrome Coronavirus) e Mers (Middle east respiratory syndrome Coronavirus) e, fra essi, il più eclatante è, appunto, il grave distress respiratorio che nelle fasi finali costringe a respirazione assistita in terapia intensiva per l’incapacità a respirare autonomamente.

Neurotropismo

Sia nella Sars che nella Mers si erano verificate, seppur raramente, complicanze neurologiche, cosicché i neurologi milanesi hanno messo a punto il questionario di valutazione clinica inviato ai medici le cui risposte hanno confermato i loro sospetti circa la possibilità che il virus attraversi la barriera ematoencefalica: per oltre la metà dei medici che hanno risposto (quasi un centinaio finora, ognuno con in media 30-40 pazienti per un bacino totale di 400 pazienti circa) si osservano sintomi neurologici correlabili all’infezione e, per quasi un quarto, il coinvolgimento del sistema nervoso viene considerato diretto. Per meno di un sesto si tratterebbe, invece, di un riscontro casuale. Questa variabilità di risposta può derivare dalla diversa specializzazione dei medici coinvolti: oltre la metà sono neurologi, ma un quarto internisti e quasi un altro quarto medici di diversa estrazione come infettivologi, ematologi, pneumologi o anestesisti, ognuno con una propria chiave di interpretazione patogenetica legata alla sua particolare specializzazione. La raccolta è tuttora in corso, ma un altro fattore che potrebbe renderne più difficile l’interpretazione è il fatto che la partecipazione all’indagine ha finora seguito l’andamento epidemiologico della diffusione del contagio perché, nelle prime fasi, tre quarti delle risposte (75%) sono arrivate da medici della Lombardia, iniziale epicentro del contagio. I dati raccolti, in via di pubblicazione su una rivista scientifica internazionale, sono apparsi comunque in linea con quelli dei ricercatori cinesi delle Università di Jilin e di Pechino e quelli giapponesi del Brain science institute di Saitama i quali, riesaminando retrospettivamente le cartelle dei loro pazienti, allo stesso modo denunciano sul Journal of medical virology la presenza di sintomi neurologici come, per esempio, cefalea, nausea e vomito, che gli autori ascrivono a un verosimile interessamento del tronco encefalo, area cerebrale che controlla, fra l’altro, le funzioni cardio-respiratorie e il cui coinvolgimento, se confermato, fornirebbe un’ulteriore chiave d’interpretazione al crollo cardiorespiratorio subitaneo e spesso fatale dei pazienti.

Non solo gusto e olfatto

«Fra i sintomi più frequenti che abbiamo messo in luce», precisa Laura Campiglio, la neurologa del gruppo di Priori che ha tirato le fila dell’indagine, «ci sono alterazioni del gusto e dell’olfatto, seguite da tremore, disturbo del cammino, turbe visive, segni meningei, cefalea, crisi epilettiche, disturbi muscolari con dolore mialgico o facile affaticabilità, paralisi flaccida simil-poliomelitica eccetera».

Cefalea sentinella

La presenza per la prima volta di una cefalea di grado lieve, ma continua, viene segnalata anche da un alert dell’Anircef , l’Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee, diramato il 5 aprile in cui Gennaro Bussone, presidente onorario, sottolinea come tale sintomo possa presentarsi nelle fasi iniziali dell’infezione, già nelle settimane che precedono la sintomatologia febbrile, l’astenia diffusa e i disturbi olfatto-gustativi: «È importante che, quindi, in presenza di un paziente che lamenta la comparsa di una cefalea continua e di intensità lieve di cui non aveva mai sofferto in precedenza», avverte Bussone, «venga condotta un’anamnesi approfondita perchè potrebbe trattarsi di un portatore asintomatico». Il tipo di cefalea segnalata dai neurologi dell’Anircef diventa, quindi, un altro sintomo che può allertare anche il farmacista se gliene viene riferita la sua comparsa precedentemente all’esordio dei disturbi del gusto e dell’olfatto.

Convergenza di riscontri

Disgeusia e anosmia sono stati riportati anche dai ricercatori del Sacco di Milano e dell’Università di Johannesburg diretti da Massimo Galli che, dopo una segnalazione sulla rivista Clinical infectious diseases, hanno inviato alla stessa rivista uno studio in forma di lettera all’editore in cui, tramite valutazione autoriportata su 59 dei loro pazienti, segnalano disturbi misti di olfatto e gusto nel 18,6% dei casi. Il riscontro di disturbi neurologici appare minore: per esempio cefalea (3,4% dei casi), artralgie (5,1%) o astenia (1%). Gli autori concludono auspicando ulteriori approfondimenti per valutare meglio il peso dei sintomi olfatto-gustativi che, per quanto aspecifici, potrebbero rappresentare un nuovo tool clinico per l’orientamento della valutazione dei pazienti paucisintomatici. Peraltro, sono proprio questi soggetti ad arrivare più spesso in farmacia in un periodo che può precedere sia la valutazione medica che l’eventuale ospedalizzazione. Per quanto il sospetto diagnostico che può nascere sul bancone della farmacia può avere solo una valenza indicativa mirata a stimolare il paziente a un più rapido approfondimento clinico, seppure indirettamente, l’indicazione di Galli chiamerebbe in causa anche il farmacista che si trova in una posizione privilegiata di valutazione di pazienti ancora asintomatici o paucisintomatici.

Cautele

Lo stesso studio del Sacco va considerato, peraltro, con le dovute cautele: un conto, infatti, è acquisire da un soggetto ancora relativamente in salute dati filtrati dalla valutazione clinica di un medico come nell’indagine di Priori e un altro, invece, acquisirli da pazienti già compromessi dove la stessa procedura di intubazione può alterare il giudizio medico circa presenza e qualità soprattutto dei disturbi olfatto-gustastivi, così come la protratta iperpiressia, le turbe respiratorie e il forzato allettamento possono compromettere la valutazione della forza muscolare, dell’equilibrio o del visus. D’altro canto, anche i dati dello studio di Priori non sono raccolti, come si dice, sul letto del paziente, ma sono riportati nell’ambito di una survey online e restano gravati, quindi, da fattori statistici confondenti che andranno corretti al momento della pubblicazione dello studio clinico. Infine, il caveat sulla comparsa di cefalea diffuso da Anircef ha la valenza clinica dei dati raccolti “al letto del paziente” ma resta nell’ambito della segnalazione aneddotica finché non sarà integrato nell’ambito di uno studio metodologicamente corretto come hanno fatto i ricercatori cinesi e giapponesi che lo segnalano sul Journal of medical virology.

A chi si sono rivolti i pazienti

Mentre questi studi andavano avanti, a chi si sono rivolti i pazienti italiani? Secondo l’ultima indagine di Altroconsumo dell’8 maggio 2020 le persone si sono rivolte alle farmacie soprattutto per acquistare mascherine, ma in dieci città hanno trovato quelle a prezzo calmierato solo in 1 farmacia su 4, situazione da cui il commissario straordinario Arcuri, il 12 maggio, ha completamente scagionato i farmacisti che nella precedente indagine Altroconsumo comparivano solo perché il 63% aveva acquistato in farmacia gel disinfettanti. Metà dei soggetti che sospettavano di avere qualche sintomo si è rivolta ai medici, interpellando soprattutto quello di famiglia (il 46% telefonicamente e il 5% andando in studio) e i numeri verdi dedicati (16%) o, in pochi casi, recandosi al pronto soccorso (2%). Ora che i sintomi sospetti sono aumentati potrà cambiare l’atteggiamento della gente verso questa malattia? «Non occorre allarmarsi ulteriormente inondando i medici con richieste di cura magari fuor di luogo», sottolinea Priori, «perché, se chiunque può capire la differenza fra tosse secca e catarrale o fra febbre e temperatura normale, è invece difficile capire da soli se, per esempio, si sta sviluppando un calo del tono muscolare».

Migliore triage

«Più che ai pazienti ciò che abbiamo messo in luce servirà ai medici», prosegue Priori, «che avranno nuovi riferimenti diagnostici nella cura del Covid-19 soprattutto se si tratta di specialisti non neurologi o di uno dei tanti neolaureati messi in prima linea a dare man forte in questa pandemia: già in tempi di non emergenza è difficile interpretare correttamente, per esempio, sintomi come quelli meningei che abbiamo segnalato». Non bisogna trascurare, infatti, altre gravi malattie una volta endemiche, come sta accadendo, per esempio, in Africa dove i problemi organizzativi ed economici sollevati dal Covid-19 stanno ponendo in secondo piano la campagna vaccinale antipoliomelitica o quelle di educazione sanitaria volte a contrastare malattie trasmissibili come ebola, malaria, Hiv eccetera, che, per esempio, proprio il partenariato italiano SIN-DREAM sta cercando comunque di sostenere.

Diagnosi differenziale

Anche qui in Italia i segni meningei segnalati dall’indagine di Priori vanno sempre differenziati, per esempio, da quelli di una vera meningite che, allo stesso modo, si accompagna a febbre, cefalea, fastidio per stimoli luminosi forti o rigidità muscolare, soprattutto a livello della nuca. Ma il neurologo può capire, già in fase di triage, di cosa si tratta con le semplici manovre dei cosiddetti segni meningei di Kernig e di Brudzinski con cui si fa sedere un paziente sdraiato controllando che non pieghi le ginocchia alzandosi, oppure verificando se le flette quando gli si piega la testa in avanti forzando la resistenza della nuca che, in genere, è innaturalmente aumentata. «I neurologi devono avere una mente aperta a valutare ogni ipotesi diagnostica», conclude Priori, «ricordando che i loro pazienti sono vulnerabili non tanto perché  immunodepressi, ma perché portatori di malattie, come, per esempio, quella di Parkinson, la sclerosi laterale amiotrofica o la miastenia, dove condizioni gestibili come le infezioni respiratorie o le polmoniti possono diventare per loro gravi anche senza bisogno del Covid-19. Per di più, questi pazienti si rivolgono a noi più spesso che al medico di famiglia e ciò rappresenta un’opportunità per raccomandare le norme di cautela indicate dagli organismi sanitari: il lavaggio delle mani e l’isolamento sociale». Un’opportunità che può benissimo essere sfruttata anche dai banchi delle farmacie.