Le cure palliative non sono una risorsa considerata, o adeguatamente sfruttata, nell’approccio e nel percorso di assistenza alla persona con demenza, nonostante la patologia, in un Paese che invecchia, resti una realtà pervasiva e dai costi importanti: psicoemotivi ed economici, per il paziente e l’intero contesto famigliare, sociali che le implicazioni generate sulla produttività di chi affianca il malato, e sanitari con un sensibile impatto sul Sistema Sanitario Nazionale (SSN), strutture ospedaliere comprese.

È lo spaccato che emerge da “Il peso della cura”, ricerca promossa da VIDAS, che dal 1982 a oggi ha offerto un supporto gratuito a 45mila persone con malattie inguaribili, condotta da Ipsos a febbraio 2025, per indagare su un campione di 1400 partecipanti (1000 cittadini over 18 e 400 casi di sovracampionamento caregiver), il vissuto di chi assiste persone con demenza: familiari caregiver. L’indagine è stata estesa anche a un campione di 300 operatori sanitari, fra medici e infermieri.

Un bisogno emergenziale

Occorre muoversi in maniera prospettica, lungimirante e non reattiva per anticipare e soddisfare in maniera proattiva i bisogni assistenziali dei pazienti con demenza, quindi ottimizzare ed adeguare la capacità erogativa di assistenza e cura. È la sola strategia, efficace, per rispondere alla crescita esponenziale delle patologie neurodegenerative, le demenze nel loro complesso innanzitutto. Azione che deve essere affiancata da un cambio di passo culturale, trasversale a tutta la popolazione – operatori sanitari, Medici di Medicina Generale (MMG) e specialisti, infermieri, caregiver, pazienti e cittadini, ovvero una informazione capillare e una corretta comunicazione che sensibilizzi al trasferimento, efficiente ed efficace delle cure palliative (CP), anche nell’aiuto al paziente con demenza, non solo oncologico, ambito nel quale queste ultime trovano oggi maggiore applicazione.

L’impiego delle CP in questo setting di pazienti può contribuire e dare sollievo al sistema, di chi eroga la cura e di chi la riceve, la persona e il contesto famigliare. Un bisogno, quello delle demenze, che si assesta in crescita. «Complessivamente, dal 2019 al 2024 i pazienti colpiti da patologie non oncologiche, tra cui la demenza, sono aumentati in modo significativo, passando dal 11% al 26% – dichiara Antonio Benedetti, direttore generale VIDAS –. Oggi, 1 paziente su 4 convive con una malattia cronica e questa evoluzione impone un ripensamento dell’assistenza: servono CP capaci di accompagnare percorsi lunghi e complessi, per rispondere con competenza e umanità ai bisogni di pazienti e caregiver».

Sarebbe necessaria, a fronte delle nuove evidenze, la riorganizzazione del SSN, pensato per una popolazione, all’epoca, con età media intono ai 40 anni, oggi raddoppiata con tutte le criticità “croniche” che ciò impone, fino a imparare a considerare le patologie neurodegenerative secondo una visione nuove. «Le demenze sono un evento sociale, che cambia radicalmente le abitudini, con una componente sanitaria – afferma Nicola Montano, ordinario di Medicina Interna presso il Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità dell’Università degli Studi di Milano, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano – e non viceversa. Rispetto all’ambito neurologico, la relazione tra demenza e CP non è ancora così immediata come in medicina interna, dove avviene la maggior parte dei ricoveri e, quindi, anche quelli di questi pazienti. Né l’ospedale è la risposta, luogo di assistenza del paziente in acuto, eppure si assiste oggi alla difficoltà nel dimettere il paziente a causa di un tessuto sociale inadeguato, carente in risorse assistenziali, dai caregiver, e istituzionali, per prendersene cura. Esiste un gap culturale che deve e verrà graduale colmato, tenuto conto che le scuole di specializzazione in CP sono nate solamente tre anni fa».

Occorrono quindi formazione mirata, ritenuta carente dal 47% dei caregiver intervistati particolar modo su scopo e utilità delle CP in area demenza sviluppo di nuove competenze, expertise, maggiore e migliore accesso alle cure, ancora difficile (32%) e una sinergia di rete.

Un tessuto, compatto e integrato a supporto

Ricerca, accademia, clinici, istituzioni, cittadini, pazienti sani e affetti da malattia, famiglie e caregiver, territorio devono fare squadra, offrendo il giusto supporto all’assistenza del paziente con demenze, richiesta spesso H24 specie nella fase più avanzata di malattia (dai dichiarata del 45% degli intervistati), seguiti al domicilio (73% dei casi) da parte di un famigliare, per lo più donna, con l’aggravio che ciò comporta sugli impegni gestionali famigliari e professionali.

Specialisti (53%) e MMG (33%) restano un punto di riferimento per i caregiver, ma un ruolo cruciale possono ricoprire le farmacie: «Le farmacie, rispetto ai dati della ricerca e che sono molto frequentate dai pazienti, anche anziani, potenziali caregiver o caregiver designati – commenta Barbara Rizzi, medico palliativista e direttrice scientifica di VIDAS – possono dare un apporto sostanziale proprio in funzionale della fidelizzazione dei clienti/pazienti, nel fornire consigli non solo ad esempio su prodotti per la cura personale dei congiunti con patologia, ma anche di servizi, colmando la richiesta di aumento dell’informazione, di qualità. Le farmacie dunque potrebbero essere un prezioso “Info Point” alla pari e in affiancamento dei MMG, degli specialisti, e e sportelli ATS, ovvero luoghi in cui lasciare opuscoli e flyer dedicati sulle opportunità e servizi disponibili sul territorio, e su come reperirli».

Non solo: «Le farmacie, oltre ad essere il primo presidio di informazione, specie in aree remote o poco raggiunte da servizi – conclude Elisabetta Donati, responsabile area cultura e ricerca di Fondazione Ravasi-Garzanti – possono contribuire anche a valorizzare l’idea dell’apporto compartecipato fra più soggetti, sgravando le famiglie e il caregiver dalle percezione e sentimento di solitudine, vista quasi come un destino nella cura e una sorta di inadeguatezza, nel caso in cui non si riesca a reggere. Fidarsi della possibilità di confronto e con un esperto, depositando un dubbio quotidiano, una fatica, una paura di fronte a un fenomeno nuovo non ancora visto è cruciale per il sostegno».

Tra le iniziative di rilievo il progetto internazionale delle Dementia Friendly Community va in questa direzione, teso a creare all’interno della comunità un sapere diffuso su temi che non sono specialistici ma che permettendo una prima nell’attenzione con possibilità di un successivo coinvolgimento dello specialista se necessario.