A cura di Cosmofarma Exhibition
Come la collaborazione tra due figure professionali che esercitano sul territorio possa contribuire alla cura e alla salute dei cittadini, anche a partire dai piedi. Ne parliamo con Valerio Ponti, podologo, presidente Aip – Associazione italiana podologi.
Qual è la collaborazione ideale?
Si deve puntare a una sinergia tra queste due figure professionali che esercitano sul territorio, vicino al paziente. La farmacia, spesso è proprio il primo punto di accesso usato dai cittadini per identificare eventuali problemi di salute. La conoscenza da parte del farmacista delle patologie podaliche e del professionista specializzato sul territorio al quale indirizzare il paziente è fondamentale, per evitare inutili accessi al pronto soccorso e sofferenze ai pazienti.
Cosa è consigliabile fare con un paziente che lamenta dolore da giorni ai piedi?
La domanda che più facilmente viene rivolta al farmacista è legata a problematiche per le callosità, a volte molto dolorose, in particolare le callosità interdigitali che il paziente in genere definisce come “occhio di pernice”. Molte volte, il farmacista tende a consigliare dei callifughi. Studi scientifici nazionali e internazionali hanno dimostrato come questi strumenti spesso non riescano a risolvere il problema; anzi, a volte, a fronte di comorbosità, possono creare danni. È sempre bene prevedere un breve colloquio, durante il quale il farmacista indaga la patologia e, in virtù di questa auspicata sinergia, indirizzare al podologo di zona.
Potrebbe essere interessante avere il podologo in farmacia?
Noi non siamo molto favorevoli a questa soluzione, come invece previsto, invece, dalla normativa per l’infermiere e il fisioterapista. Per analogia, visto che il fisioterapista fa parte dell’area della riabilitazione, si pensa che anche il podologo vi possa accedere. Nel caso, bisognerebbe prima fare un passaggio legislativo e prevedere una modifica. Però, il podologo ha bisogno di requisiti minimi per svolgere la propria attività, non facilmente adattabile al contesto della farmacia di servizi. Un esempio è quello della speciale poltrona podologica, con mezzi rotanti, frese, turbine, ferri sterili. Difficilmente si può ottenere una strumentazione di questo tipo in farmacia. Per questo, prediligiamo e consigliamo un rapporto sinergico tra lo studio del podologo del territorio e la farmacia. Invece, possono essere utili le giornate informative in farmacia per valorizzare l’una e l’altra professione, senza fornire vere e proprie visite.
Quali le patologie del piede che il farmacista incontra più spesso?
Le callosità, l’onicocriptosi ossia la cosiddetta unghia incarnita, le onicomicosi, le affezioni vescicole-bollose, la fascite plantare, l’eritema pernio (il classico gelone).
Ci sono pazienti ai quali è bene riservare maggiore attenzione?
Chiaramente il piede, andando avanti con l’età, come per tutti gli organi del nostro corpo, va incontro a problematiche maggiori. Il piede di un paziente geriatrico è più soggetto a deviazioni delle dita, come l’alluce valgo, le dita a martello, a callosità, ad artrosi e artriti, a problematiche di alterazione del passo. Quindi, il paziente geriatrico va sicuramente guardato con molta attenzione. Ancora di più il paziente con diabete o artrite reumatoide. Il diabete è la prima causa di amputazioni non dovute a traumatismi in Italia.
A partire anche dalle semplici callosità che si possono infettare in assenza di un’adeguata vascolarizzazione, in presenza di una neuropatia periferica, per cui non si avverte subito la sintomatologia dolorosa e si possono creare quadri di ulcere o di lesioni sul piede che, se non trattate in maniera corretta, possono degenerare. In questi casi, ci deve essere un rapporto diretto tra paziente e farmacista che può rivolgere alcune domande fondamentali: lei ha il diabete? Che valore ha di glicemia? Così da inviarlo al medico di medicina generale o al podologo per intraprendere un percorso diagnostico e terapeutico ottimale.
È ancora sottovalutato il contributo del podologo sulla salute delle persone?
«Sì, purtroppo, molto sottovalutato, specialmente in Italia. Consideriamo che al 95% la nostra professione si svolge all’interno della sanità privata. A oggi non abbiamo Lea per attività podologica. Questo fa sì che si possa recare dal podologo solamente chi può permetterselo. È ingiustificabile se consideriamo tutti i dati di ricerca scientifica di cui siamo in possesso, con gli studi che hanno evidenziato che, nella presa in carico del soggetto diabetico, per esempio, l’inserimento del podologo nell’equipe multidisciplinare riduce del 60% le ulcerazioni e le amputazioni al piede. C’è molto da fare ancora… Sì. Ancora, sulla salute dei piedi, ci si affida molto al sentito dire. Andrebbe fatta molto più cultura del piede.
La cura del piede deve rientrare in uno screening, in un percorso di prevenzione come si fa a partire dall’infanzia per l’oculista, così come negli adulti che praticano sport, fino ad arrivare al paziente geriatrico. Basti pensare che l’Oms ha indicato nella camminata la miglior terapia contro l’invecchiamento, per favorire la circolazione ed evitare patologie legate alla terza età. Invece, se un paziente ha problemi al piede conduce una vita più sedentaria.
Nello sviluppo di una “cultura del piede”, che ruolo possono giocare le farmacie?
«Prezioso. Hanno una grande bacino di utenza, sono le sentinelle sul territorio per la salute del paziente. Se anche le farmacie cominciano a veicolare una corretta informazione, sicuramente possiamo fare in modo che i pazienti prestino maggiore attenzione alla salute dei propri piedi.
Cosa può fare il podologo per il farmacista e viceversa?
«Il podologo può collaborare con il farmacista per salvaguardare la salute podalica dei pazienti. Il farmacista al paziente può dare informazioni corrette e contribuire in modo significativo a prevenire e risolvere precocemente il disturbo».