Giovani farmacisti: l’alternativa di lavorare in ospedale

giornata mondiale farmacista

Dopo aver frequentato la Scuola di specializzazione di quattro anni, è possibile trovare un impiego nelle farmacie di ospedali e Asl. Tra le mansioni, acquisto di farmaci e dispositivi, controllo del rischio, galenica clinica, supporto al medico nella prescrizione della terapia. Il guadagno può arrivare fino a 3.400 euro al mese

Se non vedevate l’ora di terminare gli studi per dire addio a libri e atenei, saltate pure questo articolo a piè pari. Lo stesso se avete bisogno di un introito economico a stretto giro o volete cominciare subito a mettere da parte un piccolo gruzzolo. Se, invece, siete tipi ambiziosi e pensate che alla lunga il lavoro dietro al bancone non faccia per voi, proseguite nella lettura. Perché per voi diventare farmacisti del Servizio sanitario nazionale, con l’obiettivo di lavorare nelle farmacie di ospedali o Asl, potrebbe essere un’ipotesi da prendere in considerazione. Come avrete già intuito, il percorso per raggiungere l’obiettivo è lungo e impegnativo, ma può, per contro, offrire soddisfazioni professionali e possibilità di carriera.

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Per l’accesso c’è il test di ingresso

Ebbene, la “strada obbligata” da percorrere è la Scuola di specializzazione in Farmacia ospedaliera, della durata di quattro anni, nata a Napoli una quarantina di anni fa. Oggi in Italia si contano circa ventidue scuole, per un totale di 130-150 posti all’anno. Per accedere a una di queste è necessario avere in tasca una laurea del vecchio ordinamento in Farmacia o in Chimica e tecnologia farmaceutiche oppure una laurea magistrale a ciclo unico del nuovo ordinamento in Farmacia o in Farmacia industriale. Occorre anche avere superato l’esame di Stato ed essere, quindi, in possesso dell’abilitazione per lo svolgimento della professione di farmacista. Poiché l’accesso è a numero chiuso, bisogna affrontare il cosiddetto test di ingresso, un quiz con risposte multiple che include domande di farmacologia; chimica farmaceutica; tecnologia e normativa dei medicinali, oltre a una prova di inglese. Chi supera il test può iscriversi alla scuola, che prevede una frequenza obbligatoria e a tempo pieno, finalizzata ad acquisire conoscenze che spaziano dalla farmacia clinica alla farmacoterapia, dalle tecnologie sanitarie alla farmacoeconomia, fino alla legislazione del settore. Specifici ambiti di competenza di questo professionista sono, infatti, la gestione dei farmaci e dei dispositivi medici, la produzione di medicinali anche sperimentali, l’informazione e la documentazione sul farmaco, la vigilanza sui prodotti sanitari.

Il tirocinio è di 1.500 ore all’anno

Secondo l’impianto previsto dal decreto 68 del 4 febbraio 2015 dei ministeri dell’Istruzione e della Salute, la scuola prevede attualmente un totale di 240 crediti formativi universitari (Cfu), suddivisi tra attività di base (15 crediti), caratterizzanti (195), affini o integrative (15), elettive a scelta dello studente (5), orientate alla prova finale (10). Sempre in base alla normativa, grande importanza viene riservata alle attività pratiche e di tirocinio (ben il 70% del totale, pari a 168 crediti). In particolare, le ore annue dedicate a quest’ultimo sono circa 1.400-1.500 a seconda dell’anno di corso. Le sedi oggetto del tirocinio sono inserite nella rete formativa della scuola e la scelta avviene in base a un accordo tra lo specializzando e il responsabile della struttura, previa autorizzazione del direttore della scuola. Anche se non sussiste un obbligo che prevede la “rotazione” degli specializzandi tra le varie strutture, il consiglio è comunque quello di fare esperienza nei diversi settori inerenti la specializzazione. Per ciascuna scuola è previsto un referente, che rappresenta il raccordo tra l’università e la professione e che si interfaccia con il tutor individuale e il tutor specifico. Il primo è un farmacista ospedaliero, che fa da supervisore a tre specializzandi al massimo, programmando il loro percorso formativo e accompagnandoli per tutto il quadriennio, il secondo è un referente che cambia in base alla singola attività formativa.

L’annosa questione  dei contratti

Non va taciuto quello che è a oggi un grosso neo della scuola. A differenza di quanto accade per i medici, infatti, gli specializzandi in Farmacia ospedaliera risultano privi di un contratto di formazione ministeriale e del relativo stipendio. Il che significa, in sostanza, che, pur lavorando, non percepiscono un euro, quindi per mantenersi durante la specializzazione le soluzioni sono sostanzialmente tre: chiedere un contributo economico ai genitori; effettuare alcune sostituzioni nelle farmacie di comunità (ma questa ipotesi implica un notevole sacrificio, visto il rilevante impegno già richiesto dalla scuola); conseguire una delle borse di studio erogate dalle Regioni o dagli atenei, che però sono in numero piuttosto limitato.

Il posto si ottiene tramite concorso pubblico

Chi ha retto a prova di ingresso, lezioni, tirocini, e, non ultima, mancanza di un contratto, deve sottoporsi alla fine di ogni anno a un esame di valutazione e al termine del percorso alla discussione di una tesi, in seguito alla quale otterrà il diploma di specializzazione in Farmacia ospedaliera. Una volta raggiunto l’agognato traguardo, il problema è quello di trovare un posto di lavoro all’interno del sistema pubblico. Per ottenere un contratto a tempo indeterminato (questa è l’ambizione di tutti), è necessario partecipare a uno dei concorsi per dirigente farmacista ospedaliero bandito dalle aziende ospedaliere o dalle Asl e risultare vincitore. In alternativa, ci si può temporaneamente accontentare di un contratto a tempo determinato o di un incarico libero-professionale, ai quali si accede, di norma, dopo un colloquio e la valutazione dei titoli. Da un’indagine svolta dalla Società italiana di farmacia ospedaliera (Sifo) nel 2013, è emerso che il 32,7% dei giovani under 35 specializzati possiede un contratto a tempo indeterminato, mentre il restante 67,3% ha un contratto precario. Una survey più recente, del 2019, sempre realizzata dalla società scientifica, ha indagato la situazione occupazionale degli specializzati under 45: è emerso che il 60% degli intervistati gode di un contratto a tempo indeterminato, mentre il 30% si trova in una condizione di precariato. Come è logico aspettarsi, gli insoddisfatti rispetto alla professione sono meno nel primo gruppo (il 14%) rispetto al secondo (il 26%).