Il mercato parallelo dei farmaci vale 15 miliardi

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Il mercato parallelo dei farmaci, fenomeno generato dalle differenze di prezzo per uno stesso farmaco tra le varie nazioni europee, genera un giro d’affari di 15 miliardi di euro, circa il 7% del mercato continentale

Circa il 7% del mercato farmaceutico continentale, cioè 15 miliardi di euro: è la stima del giro d’affari generato dal parallel trade, un fenomeno distorsivo del mercato originato dalle differenze di prezzo per il medesimo farmaco nelle varie nazioni europee. Tra i Paesi in cui i prezzi sono più ridotti, ossia gli esportatori, si annoverano, oltre all’Italia, Belgio, Grecia, Spagna, Francia, mentre tra quelli in cui sono più alti, ossia gli importatori, si collocano Regno Unito, Germania, Olanda, Norvegia, Svezia, Danimarca.

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Nel caso di alcuni medicinali, si calcola che in questi ultimi Stati ben il 55-63% dei consumi deriva da importazione parallela, mentre in Grecia il 16% dei farmaci viene dirottato verso le aree più ricche del continente. Va da sé che le molecole più soggette alla rivendita sono quelle a più alto differenziale di prezzo, come ad esempio il pramipexolo da 2,1 mg, usato per il trattamento della malattia di Parkinson, che in Italia costa 53,10 euro e in Germania 275,10.

Dal punto di vista economico, dunque, i trader, ossia gli importatori paralleli, ci guadagnano, che fanno la parte del leone, seguiti dai grossisti. I produttori, che si trovano a vendere i farmaci nei Paesi del Sud Europa, dove i prezzi sono più bassi, ci perdono, perché non li vendono direttamente ai Paesi nordici, dove i prezzi sono sensibilmente maggiori.

Il mercato parallelo in Italia

“In Italia il fenomeno è condizionato da alcune peculiarità della distribuzione intermedia dei farmaci”, chiarisce Fabrizio Gianfrate, professore di Economia sanitaria e autore del policy paper ‘Il parallel trade dei farmaci in Europa’. “I grossisti sono infatti spesso costituiti da piccole imprese, che faticano a realizzare economie di scala. Inoltre, detengono il magazzino, con un aggravio di costi logistici. E, infine, hanno per legge margini di remunerazione risicati. Con queste tre premesse è facile che estendano la propria attività di distributori al più redditizio commercio parallelo”. Secondo l’economista, la contraddizione di base sta nel fatto che “da un lato, le istituzioni europee e nazionali incentivano la libera circolazione dei farmaci per ridurre la spesa pubblica e, dall’altro, regolamentano rigidamente e in modo autonomo il mercato interno, dando origine a un sistema molto frammentato tra i vari Paesi”.

Soluzioni possibili

Qualcuno, tra gli addetti ai lavori, ha proposto il prezzo unico europeo, difficile da attuare. Qualcun altro un sistema remunerativo premiante per i distributori, in modo da dissuaderli dal guardare oltre confine. L’ipotesi caldeggiata da Gianfrate, che piace anche a Federfarma e a Farmindustria, che in passato si erano espresse favorevolmente in proposito, è il doppio prezzo (dual price), un modello attuato in Spagna che, con qualche aggiustamento, potrebbe andare bene anche da noi. “In sintesi, l’industria vende ai grossisti i farmaci a un prezzo superiore a quello del mercato domestico e allineato a quello dei Paesi di importazione”, chiarisce l’esperto, “poi applica uno sconto, sotto forma di pay back, al Servizio sanitario nazionale”.

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