Le risposte individuali ai farmaci possono variare sulla base di numerosi fattori come l’età, le condizioni del paziente, l’assunzione concomitante di altri medicinali. La vera novità, però, è che la ragione di queste differenze può risiedere nel nostro Dna. La farmacogenetica e le sue innovazioni sono state al centro del 41° Congresso Nazionale Sif, in corso a Roma in questi giorni

Le risposte individuali ai farmaci possano essere molto diverse da soggetto a soggetto. Questo in virtù dell’età, del sesso, della funzionalità degli organi, così come dell’assunzione concomitante di altri medicinali o di fattori come fumo e alcol. Talvolta ci si può trovare di fronte a reazioni avverse anche molto gravi, ad oggi uno dei maggiori problemi delle attuali terapie farmacologiche.

L’importanza del Dna e della farmacogenetica

Non è tutto: la ragione di queste differenze può risiedere anche nel Dna. Da qui l’importanza della farmacogenetica come strumento in grado di dare un significativo contributo nel contrastare gli eventi avversi. È quanto ha sostenuto il professor Giuseppe Toffoli, esperto della Società italiana di farmacologia (Sif), e direttore della Struttura operativa complessa di Farmacologia Sperimentale e Clinica del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, in occasione della giornata di apertura del 41° Congresso Nazionale Sif, in corso a Roma da mercoledì 16 a sabato 19 novembre.

«Oggi l’attenzione è particolarmente rivolta alle modificazioni (polimorfismi) nella struttura dei geni coinvolti nel metabolismo e nell’eliminazione dei farmaci. Lo studio di queste varianti genetiche, ovvero la farmacogenetica, rappresenta una delle più importanti strategie per evitare gli effetti collaterali e le reazioni avverse. L’obiettivo della farmacogenetica è infatti quello di personalizzare la terapia, fornendo a ogni paziente il farmaco più appropriato e con un dosaggio corretto».

La farmacogenetica e il suo utilizzo nella pratica clinica

Negli ultimi anni la farmacogenetica ha permesso di identificare numerosi farmaci che possono indurre risposte molto diverse fra le persone a seconda del loro Dna. «Oggi i test di farmacogenetica sono entrati nella pratica clinica e costituiscono un prerequisito per trattare i pazienti – ha chiarito Toffoli – È il caso, per esempio, delle terapie oncologiche con farmaci come il 5-fluorouracile, per il quale si raccomanda di fare preventivamente un test specifico, al fine di escludere varianti genetiche responsabili di gravi tossicità».

L’importanza dei test farmacogenetici

Nel corso del Congresso è stata sottolineata l’importanza dei test farmacogenetici per la migliore ottimizzazione delle terapie farmacologiche ed è stato presentato il più importante studio clinico prospettico randomizzato di farmacogenetica, il PREemptive Pharmacogenomic testing for Preventing Adverse drug REactions (PREPARE) study, che ha coinvolto 6.944 pazienti provenienti da 7 Paesi europei, tra cui l’Italia. Si tratta di un progetto no profit recentemente concluso e finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma Horizon 2020.

Per l’Italia, la Struttura di Farmacologia Sperimentale e Clinica diretta dal professor Toffoli ha contribuito con il reclutamento di ben 1.232 pazienti. «A breve verranno pubblicati i risultati del progetto che hanno dimostrato l’utilità dei test farmacogenetici pre-terapia nei confronti della prevenzione degli effetti avversi dei farmaci» ha concluso.