La terapia farmacologica a disposizione in caso di malattia di Parkinson

terapia farmacologia della malattia di Parkinson

La malattia di Parkinson è una malattia degenerativa del Sistema Nervoso. Costituisce una delle più frequenti malattie neurologiche con un notevole impatto sulla qualità di vita dei soggetti colpiti e rilevanti costi sociali e sanitari. Si stima che in Italia vi siano attualmente più di 250.000 persone affette da malattia di Parkinson. La prevalenza nel nostro paese è superiore a 220 casi su 100.000; l’incidenza è di 4-20 casi 100.000/anno con insorgenza media a 60 anni e crescente con l’età. Si prevede che la prevalenza di tale patologia raddoppierà nel corso dei prossimi venti anni a causa soprattutto del crescente invecchiamento della popolazione generale.

terapia farmacologia della malattia di Parkinson

La terapia farmacologica si avvale principalmente della levodopa (o L-Dopa), il precursore metabolico della dopamina che attraversa la barriera ematoencefalica per arrivare ai gangli della base, dove viene decarbossilata a formare la dopamina, rimpiazzando il neuromediatore carente. La bradicinesia e la rigidità risentono di più del miglioramento, sebbene anche il tremore venga spesso sostanzialmente ridotto. I pazienti meno gravi possono anche ritornare alle condizioni normali, mentre quelli allettati si possono seguire ambulatorialmente.

La somministrazione contemporanea di inibitori periferici della dopa-decarbossilasi, carbidopa e benserazide, permettono una diminuzione delle dosi, prevenendo il catabolismo della levodopa, diminuendo così gli effetti collaterali (nausea, palpitazioni, rossori cutanei) e favorendo una maggiore disponibilità di farmaco a livello cerebrale.

Sono state formulate delle preparazioni a lento rilascio per migliorare le proprietà farmacologiche del medicinale: la specialità costituita da levodopa e beserazide in rapporto 4:1, e quella che contiene invece l’associazione di levodopa e carbidopa in rapporto 4:1. Queste formulazioni permettono di mantenere i livelli di dopamina striatale più stabili possibili e riducono le fluttuazioni motorie dei pazienti colpiti da malattia di Parkinson.

L’amantadina è utile nel 50% dei casi per il trattamento del parkinsonismo lieve e precoce e per aumentare gli effetti della levodopa nelle fasi tardive della malattia. Non se ne conosce il meccanismo d’azione, si pensa che provochi aumento dell’attività dopaminergica attraverso il blocco dei recettori NMDA del glutammato o che abbia effetti anticolinergici, oppure che presenti entrambi gli effetti.

La bromocriptina e la pergolide sono alcaloidi derivati dall’ergotamina, che attivano direttamente i recettori dopaminergici D2 dei gangli della base. Entrambi i farmaci si sono rivelati utili in tutti gli stadi della malattia, quando la risposta alla levodopa diminuisce o si instaura l’effetto on-off. L’utilità viene spesso limitata dall’alta incidenza di effetti collaterali quali nausea, ipotensione ortostatica, disorientamento, stato confusionale e psicosi franca. Sembra che la pergolide perda efficacia nel tempo, forse per un meccanismo di down-regolazione dei recettori dopaminergici.

Gli inibitori delle catecol-O-metiltransferasi (COMT), enzimi ubiquitari coinvolti nel metabolismo centrale della dopamina e in quello periferico della levodopa, determinano un aumento notevole dei livelli periferici e centrali di L-DOPA e un blocco del catabolismo centrale di dopamina. Gli inibitori delle COMT Entacapone e Tolcapone sono utilizzati nel trattamento dei pazienti affetti da malattia di Parkinson che mostrano una risposta fluttuante alla levodopa, grazie alla loro capacità di mantenere più stabili i livelli plasmatici della dopamina.

La selegilina è un inibitore irreversibile e selettivo delle monoaminoossidasi di tipo B (MAO-B) predominanti nello striato e responsabili del metabolismo della dopamina in tale sede. Il farmaco viene usato nel trattamento sintomatico della malattia di Parkinson, anche se con modesti effetti, allo scopo di ritardare la degradazione della dopamina nello striato. La selegilina viene adoperata solitamente alle dosi di 5-10 mg/die. In alcuni pazienti con lievi fenomeni on-off, favorisce la riduzione dell’effetto di deterioramento di fine dose della levodopa. Sebbene praticamente priva di effetti collaterali propri, la selegilina può potenziare la discinesia, gli effetti collaterali psichici e la nausea prodotta dalla levodopa, per cui può essere necessario ridurre le dosi di quest’ultima. La selegilina, adoperata come trattamento iniziale, può ritardare la somministrazione di levodopa di circa 1 anno.

Antonio Lavecchia, Dipartimento di Farmacia, Università di Napoli Federico II