Un dossier dell’Ufficio Valutazione di Impatto del Senato intende fornire elementi utili per una valutazione, inquadrando il Ssn nell’ottica dei principali modelli organizzativi adottati nell’area Ocse e fornendo elementi di valutazione e comparazione, sulla base di una serie di indicatori oggettivi e delle reali performance del nostro Ssn rispetto ad altri 7 sistemi sanitari

Il Sistema sanitario nazionale è stato istituito in Italia il 23 dicembre 1978 con la legge n. 833, andando a rimpiazzare le tante “casse mutue”, di cui ciascuna tutelava una determinata categoria di lavoratori ed eventuali familiari a carico. Questo sistema veniva definito di tipo Bismarck.

Con il passaggio al sistema Beveridge, cioè con l’istituzione di un Ssn di stampo universalistico, la salute diventava un diritto di ogni individuo. Il sistema di finanziamento passava così dai proventi contributivi alla fiscalità. Successivamente, un momento determinante è stato rappresentato dall’introduzione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), il cui principale obiettivo era garantire un’omogeneità di offerta di carattere nazionale.

I sistemi sanitari a livello globale: 3 modelli

A livello globale i sistemi sanitari vigenti sono essenzialmente riconducibili a tre modelli:

  • il sistema Bismarck, di carattere mutualistico-assicurativo;
  • il sistema Beveridge, di carattere universalistico;
  • il sistema privatistico, che si basa sul sistema dell’assicurazione volontaria.

In Europa le principali forme di organizzazione della sanità sono riconducibili, nelle linee di fondo, all’alternativa tra sistemi Bismarck e sistemi Beveridge. «Peraltro, nell’evoluzione che si è registrata nel tempo, i sistemi dei vari Paesi europei si sono via via contaminati tra loro: c’è stata cioè una graduale convergenza tra i due modelli di fondo, al punto che si riscontrano ormai, secondo le letture prevalenti, più che altro differenti ibridi di tali modelli.

Anche in assenza di modelli organizzativi puri, comunque, risulta a tutt’oggi confermata l’esistenza di due grandi famiglie: quella dei Paesi con un servizio sanitario nazionale, di stampo beveridgiano, e quella dei sistemi ad assicurazione sociale di malattia, di matrice bismarckiana» si legge nel rapporto nel dossier redatto dall’Ufficio Valutazione di Impatto del Senato.

Il rapporto intende fornire elementi utili per una valutazione, inquadrando il Ssn nell’ottica dei principali modelli organizzativi adottati nell’area Ocse e fornendo elementi di valutazione e comparazione, sulla base di una serie di indicatori oggettivi e delle reali performance del nostro Ssn rispetto ad altri 7 sistemi sanitari (quelli di Canada, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti e Svezia).

Un confronto tra i 7 Paesi basato sull’efficacia

Attraverso un gruppo di indicatori (che comprendono: le risorse messe a disposizione dai singoli sistemi Paese per la sanità, la spesa sanitaria in rapporto al PIL, la spesa sanitaria pro capite, la spesa ospedaliera pro capite; il numero di posti letto ospedalieri per 1.000 abitanti; il numero di posti letto per 1.000 abitanti in residenze di long term care per over65; il numero di medici e infermieri in attività) il rapporto mette a confronto le realtà sanitarie esistenti nei diversi Paesi in esame.

Emerge che l’Italia risulta ultima a livello di spesa sanitaria pubblica totale in rapporto al PIL: il dato 2021 è pari al 7,1% del prodotto interno lordo. Da notare la spesa pubblica statunitense, che si colloca al 15,9% (picco dei paesi considerati), nonché la spesa pubblica dei Paesi con sistemi Bismarck (Francia, Germania), risulta più elevata rispetto a quella dei Paesi con sistemi Beveridge.

Per quanto attiene alla spesa pubblica pro-capite, l’Italia è penultima, con la Spagna a chiudere la classifica. La spesa ospedaliera pubblica pro capite vede ancora l’Italia nella parte bassa della classifica, dove precede solamente la Spagna e il Canada.

Riguardo al numero di posti letto ospedalieri per 1.000 abitanti, il nostro Paese si classifica al terzo posto fra i Paesi europei (anno 2020), con 3,19 posti a disposizione. Prima, con un notevole distacco, risulta la Germania con 7,82 posti, seconda la Francia, con 5,73 posti.
Quanto invece ai posti letto per long term care in strutture residenziali, l’Italia è stata “maglia nera” nel 2019 con la più bassa disponibilità di risorse (18,8 posti per 1.000 abitanti di età pari o superiore a 65 anni). Gli altri Paesi destinano alle cure di lungo periodo risorse significativamente più ingenti, fino al picco svedese di 68,1 posti letto per 1.000 abitanti over 65.

Riguardo al numero di medici in attività per 1.000 abitanti (anno 2020), la Spagna si distingue per il valore più alto (4,58), seguita da Germania (4,47), Svezia (4,29, nel 2019). L’Italia si colloca a metà classifica con 4 medici ogni 1.000 abitanti. Riguardo al numero di infermieri in attività per 1.000 abitanti (anno 2020), spicca il primo posto della Germania (12,06), mentre Italia e Spagna si collocano in fondo alla classifica con, rispettivamente, 6,28 e 6,1 infermieri.

La qualità delle prestazioni erogate

Un secondo gruppo di indicatori indaga la qualità delle prestazioni erogate: dal tasso di mortalità a 30 giorni dal ricovero per infarto del miocardio acuto al tasso di sopravvivenza a cinque anni per tumore al seno, dal tasso di amputazione di arto inferiore per diabete al tasso di mortalità standardizzato per età (tutte le cause di morte, malattie infettive/causate da parassiti, tumori, diabete mellito) dall’aspettativa di vita alla nascita alle morti evitabili.

Il primo indicatore considerato è relativo al tasso di mortalità, a 30 giorni dal ricovero per infarto del miocardio acuto, ogni 100 pazienti di età pari o superiore a 45 anni (anno 2019). Al riguardo, il sistema italiano (nel 2015) fa registrare un tasso pari al 5,4%, superiore a quelli, del 2019, di Svezia (3,5), Canada (4,6) e USA (4,9).

Il secondo indicatore, relativo al tasso di sopravvivenza a cinque anni per tumore al seno si distingue il dato statunitense (90,2%), seguito da quelle svedese (88,8%) e da quello canadese (88,6%). L’Italia è terzultima alla pari con la Germania, con un 86% che le colloca subito dietro la Francia (86,7%). Chiudono Regno Unito e Spagna, rispettivamente con tassi di sopravvivenza dell’85,6 e dell’85,3%.

Il terzo indicatore concerne il tasso di amputazione di arto inferiore per diabete (per 100.000 abitanti). In tal senso, con riferimento ai dati 2019, l’Italia risulta un esempio di best practice, con un valore di 2,4.

Stili di vita e fattori di prevenzione

Il terzo set di indicatori, infine, riguarda gli stili di vita, in quanto rappresentano uno strumento importante per la valutazione dei sistemi sanitari. In tal senso vengono analizzati dati relativi al consumo di bevande alcoliche e tabacco e alla prevenzione.
Quanto al primo punto l’Italia si colloca al secondo posto in termini di corretti stili di vita e un consumo pari a 7,7 litri di alcolici nel 2019 nel target 15+. Stessa collocazione anche per quanto concerne il consumo di tabacco

Il terzo e ultimo indicatore “riguarda la percentuale sulla popolazione di persone che si dichiarano obese o comunque in sovrappeso: con un valore pari al 47,6% l‘Italia si colloca al secondo posto della graduatoria di merito per l’anno 2020. Solo la Francia è caratterizzata da un valore percentuale inferiore (45,3% cittadini che si definiscono in sovrappeso), mentre tutti gli altri Paesi posti a confronto fanno registrare valori superiori: dal 50% della Svezia fino al 67,5 degli USA, che chiudono questa classifica piuttosto distaccati dal penultimo (che pure – si noti – è un Paese non europeo: il Canada, con 54,4)” si legge ancora nel report.