Nel 2021 in Italia il 27% dei pazienti, 1 su 3, sottoposto a trapianto ha sviluppato una successiva infezione da Citomegalovirus (CMV), correlata alla procedura. Importanti le implicazioni associate: elevato tasso di ospedalizzazione, sensibile impatto sulla salute e sulla vita del paziente, costi assistenziali e gestionali importanti per del Sistema Sanitario Regionale. Possibili alcune azioni di prevenzione, legate a comportamenti individuali, prevalentemente di igiene personale, e di monitoraggio clinico post-trapianto. Se ne è parlato nel corso del Convegno “La donazione, una ricchezza da non sprecare. L’infezione da Citomegalovirus, una minaccia nel post trapianto”, organizzato con il contributo non condizionante di Takeda.

Il CMV

È un virus distribuito al livello mondiale, potenzialmente tutti ne possono entrare in contatto: si stima che la sieropositività tra gli adulti corrisponda al 45% degli individui nei Paesi sviluppati e al 100% nei Paesi in via di sviluppo. Le modalità di reazione al contatto con il virus sono tuttavia differenti: negli individui immunocompetenti resta generalmente asintomatico o latente, mentre in soggetti immunocompromessi, cui appartengono anche i trapiantati, sono possibili gravi complicanze associate, specie a carico di alcuni organi e apparati, quali occhi, polmoni, fegato, esofago, stomaco, intestino, sistema nervoso centrale, infezioni, con perdita conseguente anche dell’organo trapiantato.

Una ulteriore criticità da evitare, considerando le lunghe liste di attesa, il fatto che solo il 50% dei pazienti in lista ogni anno viene sottoposto ad intervento e la scarsità di organi disponibili. A quest’ultimo aspetto concorre anche l’elevato tasso di opposizione, pari a circa il 30% del campione italiano, con tassi superiori al 50% fra gli anziani, dovuto non ultimo al convincimento che la donazione di organi non sia possibile dopo una soglia di età. Invece, anche centenari in salute possono essere soggetti candidabili. «Su questo fronte – spiega Massimo Cardillo, Direttore generale del Centro nazionale trapianti (Cnt) – è prioritario lavorare attraverso campagne di comunicazione e informazione in sinergia col Ministero della Salute e con tutte le associazioni. Il secondo problema da attenzionare si può ricondurre all’identificazione dei potenziali donatori: è necessario migliorare l’organizzazione dei piani regionali per soddisfare alle richieste dei circa 8.000 pazienti in attesa». Va detto che il numero delle donazioni è cresciuto e sta crescendo, secondo i dati dei primi mesi del 2023, sebbene l’Italia, a confronto con l’Europa, sia lontana dal benchmark spagnolo, ma in linea con altri Paesi.

Le azioni da intraprendere

In un’ottica di prevenzione, il rischio di contagio può essere contenuto da un’attenta igiene personale, soprattutto per le categorie di persone più vulnerabili alla malattia, a partire dal frequente e corretto lavaggio delle mani. Inoltre bisogna investire su aspetti clinici: «Negli ultimi anni – dichiara Corrado Girmenia del Gruppo italiano per il trapianto di midollo osseo (Gitmo) – abbiamo assistito a miglioramenti in termine di riduzione dell’infezione da CMV grazie al monitoraggio post-trapianto, pertanto è prioritario investire in strategie che vadano in questa direzione». Ad esempio, tenuto conto che «il CMV rappresenta la principale complicanza infettiva – sottolinea Paolo Grossi, Direttore S.C. Malattie Infettive e Tropicali (ASST dei Sette Laghi Varese) – è necessario pensare a “istituzionalizzare” dei team multidisciplinari in grado di gestirne le complicanze. Ciò potrebbe ulteriormente di favorire la percentuale di sopravvivenza di questi pazienti che nel 2023 si attesta al 90%, un risultato che conferma la sicurezza della procedura e l’efficienza-efficacia del trapianto».

Non solo, occorre anche potenziare il “dialogo” fra più canali a partire dalla (in)formazione accademica, fino allo specialista, al clinico in generale, in una logica di multidisciplinarietà: «Gli studenti – precisa Fausto Baldanti, Direttore Uoc microbiologia e virologia, Irccs Policlinico San Matteo di Pavia – devono poter acquisire le competenze necessarie sul tema già nel percorso curricolare e non solo nelle scuole di specialità. Mentre nella clinica, è prioritario l’aggiornamento degli schemi diagnostici per cui infettivologi, trapiantologi e medici microbiologi possano interpretare in modo efficace e integrato i dati, così da poter giungere ad una migliore gestione del paziente».

La condivisione

Strumenti, comunicazione, interdisciplinarietà: la condivisione dei dati e la corretta informazione medico-paziente devono investire tutti i settori, trasversalmente e per quanto attiene alla comunicazione ai cittadini, un supporto fondamentale può arrivare dalle associazioni di volontariato che puntano a divulgare una cultura del “sì” alla donazione: atto che non costa niente ed è una scelta per la vita a un’altra vita. Espressione di volontà alla donazione che oltre ai tradizionali canali (Asl di appartenenza, Ufficio anagrafe del Comune in occasione del rilascio o rinnovo della carta d’identità, AIDO (Associazione Italiana per la Donazione di Organi)), da aprile sarà possibile anche attraverso la Cie (Carta di Identità Elettronica).

Il supporto della politica

Anche le istituzioni si schierano a fianco della clinica: «Vogliamo dialogare con società scientifiche, Cnt, associazioni dei pazienti – afferma la senatrice Elisa Pirro dell’Intergruppo parlamentare donazione e trapianto – per formulare proposte concrete, basate sulle reali necessità del territorio cui va innanzitutto messo a disposizione un piano gestionale, omogeneo e “condiviso” che consenta procedure più rapide e adeguate dotazioni professionali ed economiche. Come Intergruppo il nostro desiderio è supportare il mondo scientifico e il mondo politico per far sì che si possa lavorare in sinergia per promuovere l’importanza di campagne di screening per il CMV e dell’aderenza terapeutica presso la comunità dei pazienti».