Continua il nostro viaggio in dieci tappe per ripercorrere e scoprire i fatti salienti che hanno contraddistinto la storia della Farmacia.

Il percorso sarà oggetto della Mostra “Il Farmacista: nascita di una professione. Viaggio in una storia millenaria” con contenuti a cura delle redazioni di Farmacia News e Tema Farmacia, in esposizione a Cosmofarma 2022 (piazza Innovasoft, pad. 30).

Dopo la prima tappa, dedicata alle origini, scopriamo in questo articolo l’Età antica, che pone le basi per la moderna Farmacologia. Grecia e Roma sono entrambe culla di nuove conoscenze di farmaco-medicina, sviluppano il pensiero e i principi delle culture antiche e introducono erbe, droghe, medicamenti. Si avvia così la medicina moderna, più scientifica, anche grazie alla divulgazione di testi, pietre miliari della storia della farmacologia e tossicologia.

La Grecia antica

Eredita le conoscenze sui farmaci dalle precedenti culture orientali, soprattutto da rimedi terapeutici egizi. Ne sono testimonianze le citazioni dell’Iliade e Odissea sugli effetti terapeutici di varie sostanze naturali, definiti come benefeci, atti a curare uno stato morboso o tossici, secondo il temine phármakon, usato nell’antica Grecia proprio con questa doppia valenza. Si legge, infatti, nell’Odissea: “….la terra datrice di biade produce moltissimi farmachi, molti buoni, e misti coi quali molti mortali….”  [1]. Un concetto ben applicato da Asclepio, figlio di Apollo, capace di somministrare la vita o la morte con rimedi naturali, pertanto considerato il dio della medicina, spesso raffigurato con in mano un bastone sul quale è arrotolato un serpente: quel bastone è oggi simbolo dei farmacisti e del soccorso medico.

Agli antichi Greci, dunque, spetta la nascita della tossicologia come scienza, per la quantità di conoscenze raccolte sull’aspetto tossico dei farmaci. Un sensibile impulso alla farmaco-medicina si ha con Ippocrate (460-377 a.C.), originario dell’isola di Cos, passato alla storia come “padre della medicina” e primo interprete della medicina moderna. Ippocrate innova, in un certo qual modo, la farmacologia: suo è il merito di aver stretto una relazione fra rimedio e applicazione terapeutica. Negli scritti del Corpus hippocraticum Ippocrate non solo espone per la prima volta in maniera razionale e sistematica le regole per raccogliere i rimedi vegetali come belladonna, oppio, menta, le norme per preparare i medicamenti in forma e sostanza (polveri, pillole, infusioni, macerazioni, decotti, tisane poi dedicate alla formulazione di unguenti, impacchi, frizioni, clisteri, gargarismi e i suffumigi), ma, inoltre, classifica le piante in base all’effetto, ovvero in purganti, emetici, diuretici e le modalità del loro utilizzo. Descrive cioè la potenziale relazione di causa (la malattia) – effetto (i benefici) sul corpo, che riteneva formato da quattro umori: sangue, bile, pituita e atrabile, umori che, nella sua teoria, subivano variazioni e alterazioni generando l’infermità. Espellere gli umori corrotti era compito del farmaco, con un’azione variabile a seconda delle qualità sensibili e della struttura del farmaco stesso.

Prezioso è anche il contributo scientifico apportato dal filosofo Teofrasto (370-286 a.C.). Nato a Ereso, nell’isola di Lesbo, si trasferisce poi ad Atene, dove è allievo di Aristotele; tra i tanti scritti a lui attribuiti, lo si ricorda soprattutto per il libro “Delle Pietre” (314 a.C.), il primo trattato di geologia della storia, e per la “Historia plantarum” (320 a.C.) in cui sono descritti per esempio gli effetti di papavero, cicuta, mandragora, emetico elleboro e illustrati i metodi per ricavare lattici, resine e balsami dalle piante o i metodi di conservazione dei medicamenti. Il testo è oggi considerato “non solo un analitico ed ordinato tentativo tassonomico, ma anche un vero trattato di fitoterapia” [2]: un’anticipazione, insomma, della “materia medica” di età classica.

Contemporanei di Teofrasto sono, infine, Erasistrato, Mantia Erofileo, Demetrio d’Apamea, Cleofanto, Aspasia, Icesio, Eraclide di Taranto, Zenone di Laodicea, alcuni dei farmacologi della Scuola di Medicina di Alessandria, considerata la più importante del mondo.

Roma antica

In quest’epoca si incrementa il numero delle droghe medicinali conosciute e che ci sono state tramandate da un contemporaneo di Plinio il Vecchio, Dioscuride d’Anazarba. Fra i più grandi farmacologi del tempo, è l’autore dei cinque libri “De Materia Medica”, il primo testo portante di farmacologia e farmacognosia, in cui sono contenuti i nomi delle specie dei tre regni naturali allora usati. Nel primo libro descrive aromi, succhi vegetali, resine e balsami; nel secondo i rimedi animali quali miele, latte, grassi; nel terzo e quarto illustra radici e semi; nell’ultimo i rimedi e veleni minerali a uso solo esterno.

Sotto l’Impero Romano, inoltre, si sviluppano diverse figure operanti nella sanità. Il cosiddetto “medico”, sebbene spesso privo di particolari studi, ma che provvede ad approntare le preparazioni medicamentose, a prescriverle e a venderle; i “rizotomi”, i tagliatori di radici, oltre ai raccoglitori di erbe, o “erbari”, figure che ben spiegano come la farmacologia ruotasse prevalentemente intorno a principi vegetali. Al loro opposto ci sono i ciarlatani, che affollano le strade e ammaliando le persone riescono a vendere loro, in concorrenza con i “medici”, droghe vegetali, medicamenti e veleni.

Scribonio Largo e Galeno

Due sono le figure meritevoli di essere ricordate dell’antica Roma. La prima è Scribonio Largo, medico e scrittore che nel 44 d.C. inizia a comporre le “Compositiones”, un ricettario pubblicato verso il 47-48, che raccoglie 271 ricette mediche, alcune delle quali perdute, contro ogni genere di male. Le prime 162 ricette sono presentate secondo lo schema dalla testa ai piedi, mentre le restanti 37, che costituiscono la seconda parte del libro, sono ricette di antidoti contro veleni, morsi e punture. Sono poi illustrati impiastri, malagmata (unguenti) e acopa (antidolorifici) utilizzati dai chirurghi.

La seconda figura di rilievo è Galeno considerato, dopo Ippocrate, il più grande medico dell’antichità. Formatosi alla scuola medica di Alessandria e trasferitosi a Roma nel 161 d.C., fonda una rinomata scuola di medicina, ove promuove l’insegnamento della dissezione, dell’anatomia e della fisiologia. Si è interessato, per tutta la vita, anche di problemi farmacologici: intraprende lunghi viaggi per conoscere le droghe d’Oriente, ne indaga le sofisticazioni e raccoglie materiale per un grande trattato che avrebbe dovuto completare il suo libro sui medicamenti, ma che non vede la luce. Galeno modifica e complica le teorie di Ippocrato, di cui era seguace; attribuisce a ciascun umore qualità di frigidità, calidità, umidità e secchezza e per ognuna di esse stabilisce gradi diversi di intensità, su cui applica poi medicamenti specifici, opposti. Per una malattia prodotta da secchezza degli umori, per esempio, assegna un rimedio umido, mentre assegna un farmaco caldo a un’infermità prodotta dalla frigidità. L’influenza esercitata da Galeno in questo campo è così profonda che resisterà fino a tutto il XVII secolo.

Il viaggio continua! Prossima puntata: Il Medioevo.

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Bibliografia:

  1. Odissea, libro IV, vv.219-232
  2. G. Cosmacini, V.A. Sironi, Cenni di storia della Farmacologia. In: Farmacologia generale e molecolare. UTET, 1996