L’Istituto Mario Negri ha avviato una campagna di sensibilizzazione sull’ictus, che in Italia colpisce 2-3 persone ogni mille abitanti, e una raccolta fondi a sostegno della ricerca così che sia possibile anticipare la diagnosi e migliorare la vita dei pazienti. Allo studio biomarcatori predittivi
Il 29 ottobre si è celebrata la Giornata Mondiale contro l’Ictus Cerebrale, una malattia che ha un profondo impatto economico e sociale, terza causa di morte nei paesi sviluppati e una delle prime cause di disabilità a livello globale. In Italia l’ictus colpisce 2-3 soggetti ogni mille abitanti. La prevenzione primaria, unitamente ai progressi nei trattamenti e un numero crescente di stroke unit, ha ridotto le casistiche e migliorato la sopravvivenza dei pazienti i quali, tuttavia, riportano disabilità permanenti. Ad oggi le possibilità di cura restano limitate.
Limitate chance di cura
Rispetto ai diversi tipi di ictus (ischemico, emorragico o transitorio), esistono trattamenti approvati soltanto per il primo di questi. I pazienti colpiti da ictus ischemico possono ricevere una terapia trombolitica per sciogliere farmacologicamente il trombo che ha causato l’ostruzione del vaso sanguigno, in combinazione con la trombectomia, una procedura per la rottura meccanica del trombo con appositi strumenti chirurgici. Queste tipologie di trattamento sono però applicabili solo a circa il 60% dei pazienti in quanto l’intervento deve essere tempestivo (entro le 6 ore successive allo stroke) e presenta una serie di potenziali effetti collaterali di natura emorragica. Inoltre, anche in quei pazienti in cui la procedura dà un buon esito, possono presentarsi disturbi cognitivi e motori nei giorni e nelle settimane successive.
Ictus, l’impegno dell’Istituto Mario Negri
Da anni l’istituto Mario Negri è impegnato nella ricerca contro l’ictus coordinata da Maria Grazia De Simoni e da Stefano Fumagalli del Dipartimento di Neuroscienze. Il lavoro di ricerca ha mostrato che i vasi del cervello, a seguito dell’ictus, espongono sulla loro superficie nuove proteine che fungono da segnali di pericolo. Il sistema immunitario, riconoscendo il pericolo attraverso una molecola chiamata MBL, innesca una risposta infiammatoria che contribuisce all’espansione del danno cerebrale.
«Attualmente – ha evidenziato Fumagalli – attraverso una ricerca finanziata dalla Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica lombarda, stiamo studiando nel dettaglio le ripercussioni sui vasi sanguigni di questa reazione immunitaria e il loro impatto sulle conseguenze a lungo termine dell’ictus a livello motorio e cognitivo».
«Il laboratorio – ha aggiunto De Simoni – è impegnato, inoltre, nella ricerca di biomarcatori, ovvero quelle spie che sono in grado di predire il rischio di ictus. In particolare, ci stiamo dedicando alla validazione di un biomarcatore infiammatorio presente nel sangue (la ficolina-2), i cui alti valori potrebbero anticipare l’ictus in pazienti con aterosclerosi, il principale fattore di rischio per l’ictus ischemico».