Il dolore cronico rappresenta una sfida significativa per la medicina moderna, colpendo milioni di persone in tutto il mondo. Esso è definito come dolore che persiste per più di tre mesi e può derivare da una varietà di condizioni, tra cui lesioni, malattie degenerative come l’artrite, neuropatie e altre disfunzioni del sistema nervoso. A differenza del dolore acuto, che ha una funzione protettiva segnalando ad esempio un danno tissutale, il dolore cronico non sempre ha una causa evidente e può persistere anche dopo che l’evento iniziale che l’ha causato è stato risolto.

La gestione del dolore cronico si avvale di un approccio multimodale che può includere farmaci, terapia fisica (ovvero massaggi e agopuntura), interventi psicologici, e tecniche di neuromodulazione. Gli analgesici, inclusi gli oppioidi, i FANS e gli antidepressivi possono essere utilizzati per controllare il dolore. Tuttavia, l’uso a lungo termine di questi farmaci deve essere attentamente monitorato per evitare effetti collaterali e dipendenza. Infine, terapie cognitivo comportamentali, tecniche di rilassamento e di gestione dello stress che deriva dalla condizione dolorosa possono aiutare il paziente a migliorare la tolleranza al dolore.

Nuovi parametri di stimolazione

La neuromodulazione consiste nell’uso di dispositivi appositi per modulare l’attività del sistema nervoso utilizzano stimoli fisici, magnetici, elettrici e luminosi. Questi dispositivi possono essere impiantati per stimolare specifiche aree del cervello, del midollo spinale o dei nervi periferici. Ad esempio, la stimolazione cerebrale profonda (DBS) e la stimolazione del midollo spinale (SCS) sono due tecniche ampiamente utilizzate. La DBS è particolarmente efficace nel trattamento del Parkinson, disturbi ossessivo-compulsivi e altre condizioni neurologiche, mentre la SCS viene utilizzata per gestire il dolore cronico.

La neuromodulazione nel trattamento del dolore cronico ha avuto una notevole evoluzione a partire dagli anni ‘60. Le tendenze attuali nel campo della neuromodulazione includono il miglioramento dei dispositivi, sempre più “miniaturizzati” e la creazione di sistemi di stimolazione “intelligente” e a ciclo chiuso per un controllo più preciso del dolore. Si cerca anche di identificare nuovi parametri di stimolazione per ottimizzare risultati terapeutici, esplorando frequenze, ampiezze e modalità innovative di somministrazione degli stimoli. Molti ricercatori ritengono che in futuro la neurostimolazione avverrà attraverso il controllo dell’intelligenza artificiale.

I sistemi intelligenti di neuromodulazione permetteranno non solo di registrare in modo ottimale l’attività neurale e di selezionare automaticamente la modalità di stimolazione, ma anche di creare algoritmi e analizzare i parametri per prevenire l’insorgenza dei sintomi. Esistono già diversi studi in cui l’IA è stata impiegata per il riconoscimento di condizioni specifiche come il dolore cronico, gli acufeni, i tremori. Un passo importante in questa direzione è la rilevazione e l’interpretazione degli stimoli dolorosi.

Personalizzare i trattamenti

L’intelligenza artificiale (IA) comprende un’ampia gamma di approcci per l’apprendimento automatico a partire da un set di dati di input, emulando diversi aspetti del funzionamento del cervello umano. L’IA comprende diversi sottoinsiemi, tra cui il machine learning (ML), il deep learning (DL), l’elaborazione del linguaggio naturale (NLP). Il ML, ad esempio, consente di addestrare un modello informatico su un insieme di dati al fine di effettuare previsioni o prendere decisioni.

Il DL, invece, si ispira alla struttura e al funzionamento delle reti neurali del cervello e comporta l’addestramento di reti neurali artificiali, costituite da strati di nodi o “neuroni” interconnessi, su grandi insiemi di dati. Attraverso queste tecniche in grado di analizzare grandi quantità di dati raccolti dai dispositivi di neuromodulazione, sarebbe possibile identificare schemi e ottimizzare i parametri di stimolazione in tempo reale. Questo approccio consentirebbe di personalizzare ulteriormente i trattamenti, adattandoli alle esigenze specifiche di ciascun paziente. Inoltre, l’IA può addirittura aiutare a prevedere le risposte del paziente al trattamento, consentendo così di sviluppare nuove strategie per la gestione del dolore.

L’integrazione dell’IA rappresenta una prospettiva interessante anche nell’ambito della diagnostica, in quanto una valutazione accurata del dolore è spesso difficile a causa della soggettività del sintomo e della complessità delle componenti emotive, comportamentali e personali che lo influenzano. La diagnosi, inoltre, è particolarmente complicata in pazienti con disabilità cognitive, demenza o difficoltà di comunicazione.