A volte è sottovaluta, anche dallo stesso paziente che trascura il sintomo o lo approccia con terapie troppo blande o inadeguate. Invece, i disturbi del sonno, fin dalla loro prima comparsa meritano interventi tempestivi, individualizzati, anche con strategie integrate di medicina complementare che hanno l’obiettivo di condurre il paziente alla “consapevolezza” dei fattori trigger dell’insorgenza del sonno perturbato. Primo passo per guidare al miglioramento della qualità del sonno, fino alla risoluzione del disturbo, comunque evitando che possa evolvere verso una insonnia conclamata. Quest’ultima vera e propria patologia, come testimoniato dall’International Classification of Sleep Disorders e dal DSM-5.
Inquadramento eziologico
Non solo notti bianche. L’insonnia, definisce e raggruppa sintomi correlati a disturbi del sonno di diversa natura: da forme più diffuse e comuni tra la popolazione a manifestazioni che riguardano il vissuto specifico della persona, come tensioni emotive e psicologiche da esempio. «L’insonnia ha, quindi, una connotazione soggettiva, intendendo ogni evento che disturba il sonno compromettendone l’azione ristoratrice – spiega Gioacchino Pagliaro, già Direttore UOC di psicologia ospedaliera dell’AUSL di Bologna e direttore scientifico di Attivismo Quantico Europeo, associazione che promuove l’introduzione dei principi quantistici in psicologia, medicina e biologia.
Studi recenti attestano una prevalenza complessiva dei disturbi del sonno nella popolazione italiana del 15-20% che in numeri corrisponde a circa 12-13 milioni di persone. Tuttavia, è possibile stimare un sommerso che sfugge all’intercettazione del medico di medicina generale o dello specialista, riferito agli italiani che si rivolgono direttamente al farmacista di fiducia, che si affidano per la gestione del sintomo al passaparola o all’assunzione di fitoterapie e/o fitoterapici da banco senza passare da una diagnosi e un counselling esperto. Tali evidenze, quindi, propendono a incrementare i numeri a 15 milioni di casi, di cui 58-65% tra le donne e una quota consistente di giovani, in cui questi disturbi (ma non solo) sono sensibilmente aumentati».
Nuovi fattori di rischio hanno alimentato l’insorgenza dell’insonnia, tra questi i cambiamenti di natura socio-relazionale avvenuti dalla pandemia, in primis la mancanza di socializzazione e di contatto, che hanno acuito o slatentizzato manifestazioni di aggressività verbale e fisica, irritabilità, ansia, stress e altre devianze comportamentali. Effetti peraltro annunciati da esperti (neurologi, psicologi, psichiatri) e cambiamenti climatici, quali le tempeste solari responsabili dell’alterazione del ritmo sonno-veglia, favorendo quindi i disturbi/difficoltà di addormentamento, e dell’influenza sul campo energetico della persona. «Partendo dal presupposto che i sistemi viventi, uomini compresi, sono costituiti da energia, recenti applicazioni di meccanica quantistica – precisa Pagliaro – hanno fatto osservare che un sistema energetico equilibrato produce effetti benefici sulla dimensione biologica e viceversa, ma che tale rapporto di forze può essere facilmente alterato da bombardamento di frequenze, dagli influssi di campi elettromagnetici, tutti effetti che correlano alle “tempeste solari”, che si ripercuotono anche sul sonno, diventando occasione di disturbo. Solo in minima parte, l’insonnia può correlare a aspetti genetici, in particolare alterazioni genetiche legati ai prioni, causa ad esempio dell’insonnia letale». Infine, l’inadeguato e eccessivo uso delle tecnologie ad interim, dal mattino fino a tarda sera, attivando meccanismi di arousal che riducono anche la capacità della melatonina di indurre il sonno sono un fattore di rischio 5.0 dell’insonnia.
Le benzodiazepine
Una considerazione a parte meritano le benzodiazepine di cui oggi si osservano
anche prescrizioni inadeguata o assunzioni fuori controllo, fino a casi di autogestione del paziente: malpractice che sviluppano dipendenza dal farmaco. «Da protocolli internazionali è noto che oltre le 4 settimane l’efficacia delle benzodiazepine inizia a calare con aumento dell’effetto avverso. Tramite un “percorso” di fitoterapia e pratiche di consapevolezza agganciati anche a psicoterapia – afferma Fabio Rodaro – è possibile aiutare il paziente
a scalare gradualmente il dosaggio delle benzodiazepine, a liberarsi della dipendenza, sostituendole a fitoterapici e ad altri interventi più funzionali che puntano, oltre che a gestire sintomo, a sviscerarne l’origine. Quando il paziente è in grado di cogliere e ascoltare e rispondere a questa “causa” ha compiuto un passo in più verso la guarigione.