Il costante e inesorabile trend di invecchiamento della popolazione italiana impatta e impatterà in maniera sempre più crescente sull’assistenza alla non autosufficienza, cioè sulle Long Term Care. L’aumento nella domanda di servizi richiede pertanto una riflessione di sistema e delle risposte mirate.

La non autosufficienza in Italia: alcuni dati

Nel 2023, in Italia, gli over65 rappresentavano il 23,5% della popolazione; stando a stime accreditate questa percentuale toccherà il 30% entro il 2030 aumentando di ulteriori 5 punti percentuali (34,9%) entro il 2050. 

Stando ai dati più aggiornati, la non autosufficienza interessava 3,95 milioni di over65 nel 2021, pari al 28,4% della popolazione complessiva ultrasessantacinquenne, al 32,5% del target 75-84 anni e al 63,8% della popolazione over85.

La rete del welfare pubblico copriva nel medesimo anno, appena il 29,8% della domanda, prioritariamente attraverso servizi tradizionali di residenzialità socio-sanitaria e assistenza domiciliare integrata – ADI, ma con una limitata capacità di presa in carico.

Il rapporto Long Term Care 2024

E’ da questa fotografia che ha preso avvio il 6° Rapporto dell’Osservatorio Long Term Care del Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale – Cergas, di SDA Bocconi ed Essity, che quest’anno si è focalizzato sulla sostenibilità del settore nel medio-lungo periodo, anche alla luce dell’approvazione definitiva del decreto attuativo della legge di riforma dell’assistenza agli anziani (legge 33/2023), prescritta dal Piano nazionale di ripresa e resilienza – PNRR, attraverso un’analisi di tre dimensioni: economica, di personale e dei modelli di servizio.

Il rapporto ha indagato queste dimensioni attraverso la somministrazione di due questionari alle aziende del settore, il primo relativo alla sostenibilità odierna mentre il secondo più focalizzato sugli elementi di criticità per una sostenibilità futura.

La sostenibilità economica

Rispetto alla sostenibilità economica, il sentiment delle aziende è focalizzato sui modelli di finanziamento.

Ben il 93% dei rispondenti ritiene difatti che a minare in modo importante la sostenibilità del settore Long Term Care ci sia in primis la mancata valorizzazione delle tariffe pubbliche, seguita in maniera minore (76%) dall’indisponibilità delle famiglie a pagare e dalla fragilità dell’utenza che accede ai posti accreditati (73%).

E questo nonostante la produzione abbia segnato un +20,7% dal 2019 al 2022, un periodo in cui è aumentata la concentrazione di mercato e la diversificazione dei servizi.

La (in)sostenibilità del personale

Per quanto attiene alla sostenibilità del personale, il problema della carenza continua ad essere un tema centrale in particolar modo per chi gestisce esclusivamente la filiera socio-sanitaria, come le RSA, dove la mancanza di medici e infermieri si attesta al 18%, all’11% quella degli OSS, rispetto a chi gestisce anche servizi sanitari, come lungodegenza e riabilitazione, in cui le percentuali si attestano rispettivamente al 10 e al 7%.

Il rapporto mette in luce in particolare l’insoddisfazione del personale per un comparto che continua ad essere poco attrattivo, caratterizzato da un alto turnover, con difficoltà di rimpiazzo dovute anche ad un problema di competenze spesso carenti.

La sostenibilità dei modelli di servizio

Per quanto attiene infine alla sostenibilità dei modelli di servizio, gli stessi non risultano in evoluzione. Si intravvedono potenzialità di sviluppo di nuovi modelli ma non sussistono al momento solide strategie innovative. 

Mancano altresì logiche collaborative che potrebbero contribuire ad assicurare una maggiore sostenibilità nel medio lungo periodo rispetto alle 3 aree analizzate.

Spunti e confronti internazionali

Il rapporto offre altresì numerosi spunti, non da ultimo attraverso un confronto internazionale con tre Paesi: Francia Germania e Svezia, volto a fotografare la situazione nei tre contesti rispetto alla non autosufficienza e le riforme introdotte negli ultimi anni nella direzione di una maggiore sostenibilità.