Titolare di farmacia e diritto: quali incompatibilità?

Con la recente sentenza 5 febbraio 2020, n. 11, la Corte costituzionale ha assunto una importante decisione sul tema della incompatibilità del socio non farmacista di società di capitali (titolare di farmacia) con un rapporto di lavoro pubblico o privato. La sentenza rappresenta l’occasione per fare il punto della situazione

La legge n. 124/2017 sulla concorrenza ha introdotto importanti novità nel mondo delle farmacie, segnando il definitivo passaggio da una impostazione di tipo tecnico-professionale della titolarità e gestione delle farmacie a una impostazione di tipo economico-commerciale. Questo provvedimento ha modificato, infatti, l’art. 7, comma 1, legge n. 362/1991, estendendo la possibilità di diventare titolari di una farmacia, oltre che ai farmacisti iscritti all’albo e alle società di persone, anche alle società di capitali (alle quali possono partecipare soci non farmacisti o società di capitali o di persone) e alle società cooperative a responsabilità limitata.

titolare di farmacia
I soci persone fisiche titolari di farmacia e i titolari di farmacia in forma individuale e quelli in forma di società di capitali non possono partecipare a una società di persone o di capitali che sia titolare a propria volta di una o più farmacie

In particolare, la direzione di una farmacia gestita da una società deve essere comunque affidata a un farmacista che abbia l’idoneità. Invece, possono partecipare a una società di persone o di capitali titolare di farmacia farmacisti e “non farmacisti”. Inoltre, i soci possono essere persone fisiche, società di persone o di capitali, che a loro volta possono essere formate da altre società di persone o di capitali. Per effetto dell’innovazione legislativa, si sarebbe reso necessario integrare e precisare il quadro delle incompatibilità dei soci, farmacisti e non, rispetto alla loro partecipazione a società titolari di una farmacia. Su questo rilevante profilo, tuttavia, la legge n.124/2017 non ha modificato le norme previgenti (art.8, comma 1, legge n. 362/1991), creando così non pochi dubbi e criticità interpretative, solo in parte dissipate a seguito di successivi interventi della giurisprudenza. In sintesi, l’art. 8, comma 1, legge n. 362/1991, prevede sostanzialmente tre ipotesi di incompatibilità (sanzionate con la sospensione del farmacista dall’albo professionale, per un periodo non inferiore a un anno).

Produzione e informazione scientifica ed esercizio della professione medica

L’incompatibilità con qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l’esercizio della professione medica (art. 8, comma 1, lettera a), legge n. 362/1991), che riguarda sia il socio persona fisica che il socio società, mira a evitare la partecipazione all’esercizio e/o alla gestione di una farmacia da parte di figure imprenditoriali o professionali portatrici di interessi privati potenzialmente in grado di confliggere con l’interesse pubblico a una ottimale dispensazione dei medicinali. In proposito, è stato precisato che l’incompatibilità con l’esercizio della professione medica riguarda non soltanto i soli medici iscritti all’albo (dunque, il socio persona fisica), ma anche il socio società, qualora la società sia legittimata da statuto a esercitare attività sanitarie che comprendono quella medica (come, per esempio, una casa di cura). Inoltre, è stato chiarito (Consiglio di Stato, parere del 3 gennaio 2018) che l’incompatibilità tra la partecipazione alle società titolari di farmacia e l’esercizio della professione medica riguarda qualunque medico, sia che eserciti la professione sia che non eserciti e sia solo iscritto all’Albo professionale.

Titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia

I soci persone fisiche titolari di farmacia e i titolari di farmacia in forma individuale e quelli in forma di società di capitali non possono partecipare a una società di persone o di capitali che sia titolare a propria volta di una o più farmacie. La legge n.124/2017 ha previsto che, peraltro, ogni società possa detenere, direttamente o indirettamente, un numero di farmacie non superiore al 20% degli esercizi esistenti in una regione. Quindi, è legittima la partecipazione di una società (di persone o di capitali) titolare di farmacie a un’altra società (di persone o di capitali) anch’essa titolare di farmacie. In proposito è stato chiarito (Consiglio di Stato, parere 3 gennaio 2018) che l’incompatibilità da parte del titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia deve essere estesa a qualsiasi forma di partecipazione alle società di farmacia, senza alcuna limitazione o esclusione (per esempio, per la partecipazione di mero capitale), ed è applicabile anche all’ipotesi della partecipazione sociale alla società di farmacia da parte di altra società di farmacia.

L’incompatibilità con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato

Infine, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lettera c), legge n.362/1991, norma anch’essa non modificata dalla legge 124/2017, sussiste l’incompatibilità tra titolarità della farmacia con «qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato». Su questa incompatibilità, che è quella che ha dato forse luogo alle maggiori incertezze interpretative, si è appunto pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza n. 11/2020. Sotto il profilo della estensione oggettiva della incompatibilità tra la partecipazione a una società di farmacia e qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato, il Consiglio di Stato (parere 3 gennaio 2018) ha interpretato il dettato normativo nel senso che rientrerebbero nel perimetro di incompatibilità, oltre ai rapporti di lavoro subordinato, anche quelle prestazioni che, sebbene autonome, vengono effettuate con una regolarità tale da risultare assorbenti; la ratio della norma sarebbe, infatti, quella di “evitare che il socio possa contrarre vincoli che impediscano un adeguato svolgimento delle prestazioni lavorative a favore della società e/o della farmacia sociale”.

L’interpretazione fornita dal Consiglio di Stato è stata criticata da più parti, in quanto ritenuta eccessivamente rigorosa. In particolare, il Notariato (studio n. 75/2018) ha sottolineato che, interpretando la norma nel senso dell’incompatibilità dei soci con qualsiasi tipo di rapporto di lavoro pubblico o privato, conseguirebbe che soci diversi dai farmacisti idonei potrebbero essere solo coloro che siano disoccupati o studenti, oppure imprenditori e professionisti. Questo significherebbe sostanzialmente rendere inapplicabile l’estensione della titolarità delle farmacie alle società di capitali, che, specie se di medie o grandi dimensioni, non potrebbero intestarsi una o più farmacie poiché la maggioranza dei loro soci sarebbero legati da un rapporto di lavoro con la società stessa o con un qualsiasi soggetto terzo. Secondo il Notariato, l’incompatibilità dovrebbe valere, invece, solo con riferimento ai farmacisti soci e/o direttori, con conseguente possibilità, per il dipendente pubblico o privato, di detenere partecipazioni in società di gestione delle farmacie. Altri hanno poi ritenuto che la norma sull’incompatibilità tra la posizione di socio e qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato debba essere interpretata restrittivamente, come riferentesi al solo lavoro subordinato, e non anche al lavoro autonomo; diversamente, si verificherebbe una generale impossibilità per il socio di qualunque attività lavorativa in una sfera diversa da quella della farmacia sociale e/o della società come tale, con conseguente ingiustificabile compressione della libertà di iniziativa economica e/o professionale del socio stesso. La ratio del divieto verrebbe così ricondotta nell’esigenza di evitare che il socio possa contrarre vincoli stringenti, come appunto quelli che ineriscono a un rapporto di lavoro subordinato, con un qualsiasi soggetto, pubblico o privato, tali da impedirgli un adeguato svolgimento delle sue prestazioni lavorative a favore della farmacia, anche quando lo stesso non vi sia tenuto dallo statuto e/o dagli incarichi assunti.

Il TAR del Lazio si è pronunciato sulla incompatibilità di un socio farmacista in qualità di professore associato a tempo pieno presso la facoltà di farmacia e medicina dell’Università degli Studi di Roma

Tuttavia, con parere 7 marzo 2018, il ministero della Salute aveva confermato l’interpretazione fornita dal Consiglio di Stato, affermando che le ipotesi di incompatibilità previste dagli artt. 7 e 8, legge n. 362/1991, si applicano «a tutti i soci, farmacisti e non farmacisti, persone fisiche o società»: quindi, secondo il Ministero non potrebbe partecipare a una società titolare di farmacia un’altra società titolare anch’essa di farmacia, né, per la medesima ragione, un farmacista «individualmente titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia». Anche il Tar del Lazio, con la recente sentenza 2 maggio 2019, n. 5557, si era allineato all’interpretazione più rigorosa. Secondo il TAR, che si era pronunciato sulla incompatibilità di un socio farmacista in qualità di professore associato a tempo pieno presso la Facoltà di farmacia e medicina dell’Università degli studi di Roma, non poteva essere condivisa la tesi secondo la quale nei confronti dei soci che non partecipano alla gestione non opererebbero le incompatibilità normativamente prescritte rispetto alla titolarità di rapporti di lavoro. Secondo i giudici amministrativi, infatti, le cause di incompatibilità, di cui all’art. 8, «devono sempre trovare applicazione nei confronti dei soci e dei direttori responsabili della farmacia che siano farmacisti iscritti all’albo». Pertanto, anche se meri soci di capitale in una società di farmacia e, quindi, estranei alla direzione della farmacia, i farmacisti iscritti all’Albo professionale sarebbero comunque soggetti al divieto di intrattenere «qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato», così come alle altre incompatibilità di cui all’art. 8, comma 1, legge n. 362/1991.

La sentenza della Corte

La Corte costituzionale è stata chiamata a esprimersi su una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Collegio arbitrale, nell’ambito di un contenzioso tra una società di capitali, titolare di farmacia, e un socio, che era anche docente universitario. In particolare, nell’ambito di una controversia avente a oggetto l’eventuale incompatibilità della titolarità di un rapporto di pubblico impiego, nel caso specifico una docenza universitaria, con la partecipazione alla compagine di una società di capitali titolare di farmacia, era stata sollevata questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 8, comma 1, lettera c), legge n. 362/1991, nella parte in cui prevede che la partecipazione alle società di capitali, titolari di farmacia, sia incompatibile con “qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato”. Per il Collegio rimettente, la norma, nell’estendere la causa di incompatibilità non solo alle persone fisiche e ai soci di società di persone che sono titolari e gestori di farmacie private, ma anche ai soci di società di capitali che acquisiscono queste farmacie senza rivestirne compiti di gestione o di direzione, violerebbe gli artt. 2, 3, 4, 35, 41, 47, 11 e 117, Costituzione.

La Corte ha ritenuto non fondata nel merito la questione, per erroneità nell’interpretazione della norma in questione. Secondo i giudici della Consulta, infatti, la causa di incompatibilità prevista dall’art. 8, comma 1, lettera c), legge n. 362/1991, «non è riferibile ai soci di società di capitali titolari di farmacie che» non siano «ad alcun titolo coinvolti nella gestione della farmacia». La Consulta, infatti, rileva che l’incompatibilità con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato, se era coerente con il modello organizzativo precedente alla legge n. 124/2017, che, allo scopo di assicurare che la farmacia fosse gestita e diretta da un farmacista, ne consentiva l’esercizio esclusivamente a società di persone composte da soci farmacisti abilitati, a garanzia dell’assoluta prevalenza dell’elemento professionale su quello imprenditoriale e commerciale, non lo è più nel contesto del nuovo quadro normativo di riferimento, il quale ammette che la titolarità nell’esercizio delle farmacie private sia acquisita, oltre che da persone fisiche, società di persone e società cooperative a responsabilità limitata, anche da società di capitali, consentendo così che la partecipazione alla compagine sociale non sia più limitata ai soli farmacisti iscritti all’albo e in possesso dei requisiti di idoneità. In altri termini, secondo la Corte, poiché la legge n. 124/2017 consente la titolarità di farmacie (private) in capo anche a società di capitali, di cui possono far parte anche soci non farmacisti, in alcun modo coinvolti nella gestione della farmacia o della società, a questi soggetti, unicamente titolari di quote del capitale sociale, non è più riferibile l’incompatibilità «con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico privato», prevista dalla norma.  La causa di incompatibilità in questione non è riferibile, quindi, ai soci di società di capitali (titolari di farmacie) che si limitino ad acquisirne quote, senza essere ad alcun titolo coinvolti nella gestione o direzione della farmacia.

La Corte perviene a questa conclusione valorizzando:

    • la rubrica della norma in questione, che espressamente collega i termini “gestione” e “incompatibilità”;
    • le sanzioni interdittive di cui all’art. 8, comma 3, legge n. 362/1991, che per loro natura si applicano solo al socio che risulti «fattivamente coinvolto nella gestione della farmacia»;
    • la disciplina delle ipotesi di subentro degli eredi o di vendita (art. 7, commi 9 e 10, legge n. 362/1991,richiamati dall’art. 8), nelle quali l’obbligo di cessione, entro sei mesi, della quota acquisita dall’erede del socio o dall’acquirente della società è previsto per il solo caso in cui l’avente causa incorra nelle incompatibilità correlata a «qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché all’esercizio della professione medica» (art. 7, comma 2), «mentre nessun interesse ostativo alla permanenza nella società riveste l’eventuale titolarità di un rapporto di lavoro, pubblico o privato, da parte dell’erede del socio defunto o dell’acquirente della farmacia, che non partecipa alla gestione della stessa»;
    • il fatto che, nell’attuale assetto normativo, la titolarità di farmacie (private) in capo anche a società di capitali, di cui possono far parte anche soci non farmacisti, né in alcun modo coinvolti nella gestione della farmacia o della società, è definito da tali soggetti, esclusivamente titolari di preventivo del capitale sociale (e non altrimenti vincolati alla gestione diretta da normative speciali), non sia pertanto più riferibile l’incompatibilità «con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico privato», di cui alla lettera c), comma 1, art. 8, legge n. 362/1991.

In definitiva, dunque, secondo la Consulta l’incompatibilità in esame sussiste solo nei confronti del socio che rivesta un ruolo gestorio nella società. La pronuncia è molto rilevante anche per gli effetti che la stessa è suscettibile di produrre in merito ad altre situazioni. In primo luogo, infatti, il principio sancito dalla Consulta può essere esteso anche ai soci accomandanti, farmacisti e non, purché gli stessi non vengano in alcun modo coinvolti nella gestione della farmacia o della società. Ne consegue che l’incompatibilità opera, invece, per i soci accomandatari e i soci di una Snc i quali, per definizione, svolgono attività di gestione dell’esercizio sociale, come pure per amministratori, consiglieri di CdA, dirigenti apicali e direttori responsabili della farmacia. La sentenza assume rilievo anche per i suoi effetti sull’attuale contenzioso relativo alle posizioni di soci farmacisti di società di capitali, per i quali sussisterebbe ancora l’incompatibilità «con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato» (come da sentenza Tar Lazio n. 5557/2019), in quanto, per il principio di parità di trattamento, la possibile “non incompatibilità” potrebbe estendersi anche ai soci farmacisti, non direttori di farmacia, che partecipano a società di capitali titolari di farmacia. Infine, è lecito chiedersi se il medesimo principio espresso dalla Corte non possa applicarsi anche alla causa di incompatibilità prevista dall’art. 8, comma 1, lettera b), ovvero quella relativa alla posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia; anche in questo caso, infatti, potrebbe ritenersi che l’incompatibilità ora menzionata non valga per i soci non coinvolti nella gestione della società farmacia.