Mascherine e Covid-19: gli obblighi per le farmacie

Le mascherine costituiscono uno dei principali presidi per la lotta contro la diffusione dell’epidemia da Covid-19. Di qui l’importanza di inquadrare, dal punto di vista giuridico, la disciplina applicabile a questi importanti device

Le mascherine possono avere diverse qualificazioni giuridiche a seconda della loro funzione; in particolare, possono essere considerate dispositivi medici oppure dispositivi di protezione individuale. Le mascherine facciali di tipo chirurgico hanno lo scopo di evitare che chi le indossa contamini l’ambiente, in quanto limitano la trasmissione di agenti infettivi, e sono utilizzate in ambiente ospedaliero e in luoghi ove si presti assistenza a pazienti.

mascherine
Le farmacie devono essere in grado di identificare per dieci anni tutti gli operatori economici ai quali hanno fornito un dispositivo o da quali sono state rifornite

Queste mascherine sono considerate dispositivi medici e, in quanto tali, sono disciplinate dalla direttiva 93/42/Ce, recepita in Italia dal D.Lgs. n. 46/1992. Tale direttiva è stata superata, in realtà, dal regolamento Ce n. 2017/745 sui dispositivi medici, il quale ha appunto abrogato la precedente direttiva 93/42/Ce e conseguentemente, quindi, di concerto, anche il D.Lgs. n. 46/1992. Il regolamento Ce n. 2017/745 ha definito un nuovo quadro normativo inteso a garantire il corretto funzionamento del mercato interno dei dispositivi medici, tutelando nel contempo la salute dei pazienti e degli utilizzatori e tenendo conto delle piccole e medie imprese attive nel settore. In sintesi, ai sensi del regolamento Ce n. 2017/745, la farmacia deve controllare, anche con un campionamento rappresentativo dei dispositivi forniti dal distributore, se il dispositivo presenta la marcatura obbligatoria Ce, la dichiarazione di conformità e tutte le informazioni previste dal regolamento stesso, oltre che un sistema di identificazione unica del dispositivo che ne consenta la tracciabilità. A tal proposito, le farmacie devono essere in grado di identificare per un periodo di dieci anni tutti gli operatori economici ai quali hanno fornito un dispositivo o da quali sono state rifornite. La farmacia deve anche impedire la commercializzazione di dispositivi non conformi al regolamento e informare il ministero della Salute se ritiene che presentino rischi gravi o che siano stati falsificati. In caso di non conformità, deve avvisare il titolare del medical device, collaborando nelle azioni di richiamo o ritiro, e deve anche trasmettergli eventuali reclami o segnalazioni ricevute da parte di pazienti, utilizzatori o altri operatori sanitari.

Il regolamento sui dispositivi medici avrebbe dovuto entrare in vigore il 26 maggio 2020, ma l’entrata in vigore è stata recentemente posticipata, su richiesta della Commissione europea, al 26 maggio 2021. Il rinvio è motivato dal fatto che la crisi legata all’epidemia di Covid-19 sta richiedendo agli Stati membri uno sforzo organizzativo tale da non potere garantire l’attuazione e l’applicazione corrette del regolamento entro la data originariamente prevista. In particolare, la Commissione ha evidenziato che, in virtù della situazione venutasi a creare a seguito della pandemia da Covid-19, i dispositivi medici (tra i quali rientrano appunto le mascherine chirurgiche) svolgono un ruolo fondamentale nel garantire la salute e la sicurezza dei cittadini dell’Unione e nel consentire agli Stati membri di prestare le cure mediche necessarie ai pazienti che ne hanno urgente bisogno. Pertanto, per garantire la continua disponibilità dei dispositivi medici che sono di vitale importanza nel contesto della pandemia di Covid-19 e della relativa crisi sanitaria, si è reso necessario rinviare l’entrata in vigore del regolamento sui dispositivi medici, evitando in tal modo difficoltà o rischi di potenziali carenze di tali dispositivi o di ritardi nella loro messa a disposizione a causa di limitazioni della capacità delle Autorità o degli Organismi di valutazione della conformità in relazione all’attuazione del regolamento stesso. In base alla disciplina a oggi vigente, i dispositivi medici possono essere immessi in commercio se rispettano i requisiti essenziali in materia di sicurezza e prestazioni (cosiddetti Res) previsti dall’Allegato I alla direttiva stessa; requisiti che devono essere verificati, pertanto, anche dalle farmacie prima di procedere alla messa in vendita al pubblico. Peraltro, la direttiva 93/42/Ce non prescrivere soluzioni tecniche obbligatorie per la fabbricazione e la progettazione dei dispositivi, che sono lasciati alla discrezionalità del fabbricante. In linea generale, la conformità di un dispositivo medico ai Res avviene attraverso la valutazione della conformità, le cui procedure variano a seconda della classe di rischio del dispositivo stesso. Le mascherine chirurgiche devono essere prodotte nel rispetto della norma tecnica Uni En 14683:2019, che prevede caratteristiche e metodi di prova, indicandone i requisiti.

Essendo un dispositivo di classe I non è necessario l’intervento dell’organismo notificato, ma il fabbricante potrà realizzare in autonomia il fascicolo tecnico emettendo al termine la dichiarazione di conformità alla direttiva. Inoltre, il fabbricante deve:

  • imballare il dispositivo medico in modo tale che le sue caratteristiche e prestazioni non vengano alterate durante la conservazione e il trasporto, tenendo anche in considerazione della specifica destinazione d’uso prevista;
  • corredare il dispositivo medico di adeguata etichetta, conformemente all’Allegato I alla direttiva;
  • redigere le istruzioni d’uso conformemente all’Allegato I alla direttiva. Tuttavia, l’art. 11, comma 13, direttiva 93/42/Ce, stabilisce che uno Stato membro può, ai fini di tutela della salute, autorizzare l’immissione in commercio nel proprio territorio di singoli dispositivi per i quali non sono state ancora effettuate le procedure di valutazione della conformità.

L’epidemia di Covid-19 rappresenta senz’altro una circostanza eccezionale che giustifica una deroga alla procedura di valutazione della conformità dei dispositivi. Per fronteggiare la grave situazione di emergenza sanitaria in atto e per far fronte alla crescente domanda di mascherine da parte dei professionisti sanitari e della popolazione in generale, il legislatore ha appunto applicato questa deroga all’art. 15, D.L. n. 18/2020 (cosiddetto decreto Cura Italia) convertito con la legge n. 27/2020, consentendo la commercializzazione di mascherine chirurgiche prive di marcatura Ce, previa presentazione di autocertificazione all’Iss e ottenimento del parere positivo di quest’ultimo. Tale procedimento in deroga potrà essere seguito esclusivamente durante il periodo di emergenza, che (allo stato) terminerà il 31 luglio 2020 (come da delibera del Consiglio di Ministri 31 gennaio 2020). Al termine di questo periodo, i fabbricanti di dispositivi medici dovranno ricominciare a utilizzare i procedimenti ordinari previsti dalla rispettiva normativa. Tra i soggetti tenuti all’autocertificazione non rientrano le farmacie, le quali, comunque, sono tenute ad accertare presso il fornitore la documentazione tecnica relativa alle mascherine, assicurandosi che sia presente la marcatura Ce, per le mascherine già autorizzate prima dell’emergenza, anche tramite le banche dati pubbliche, oppure la rispettiva certificazione in deroga dell’Iss, anche ai fini dei controlli da parte delle Autorità preposte agli accertamenti.

Le mascherine come dispositivo di protezione individuale

Le mascherine di tipo FFP1, FFP2 e FFP3 rientrano, invece, tra i dispositivi di protezione individuale; infatti, si tratta di facciali filtranti utilizzati in ambiente ospedaliero e assistenziale per proteggere l’utilizzatore da agenti esterni. I dispositivi di protezione individuale sono regolati dal regolamento Ue n. 425/2016, che ne stabilisce le condizioni di immissione sul mercato, i requisiti essenziali di sicurezza che devono osservare per preservare la salute e garantire la incolumità degli utilizzatori e sono suddivisi in tre diverse categorie. Le mascherine qualificate come dispositivi di protezione individuale appartengono alla classe III e in capo al fabbricante sono previsti alcuni obblighi. Anche nel caso dei dispositivi di protezione individuale, il fabbricante deve rispettare una serie di requisiti di salute e sicurezza, previsti dall’Allegato II al regolamento Ce n. 425/2016. Peraltro, analogamente a quanto accaduto per le maschere chirurgiche, anche per i dispositivi di protezione individuale è previsto un regime in deroga in base al quale un soggetto che intende produrre o un importatore deve presentare domanda di valutazione in deroga più autocertificazione. In questo caso, l’organo preposto alla valutazione delle domande e delle autocertificazioni concernenti le mascherine FFP1, FFP2 ed FFP3 è l’INAIL, al quale deve essere inviata una autocertificazione corredata da una serie di documenti, tra cui una relazione tecnica descrittiva completa del dispositivo e dell’uso al quale è destinato, relazioni e relativi rapporti di prova sui test effettuati per verificare la conformità del dispositivo ai requisiti essenziali di salute e sicurezza e una copia delle istruzioni per il datore di lavoro. Qualora la valutazione dell’Inail sia positiva, la commercializzazione delle mascherine è legittima nel perdurare dello stato di emergenza e avviene senza apposizione della marcatura Ce. Qualora, invece, tale valutazione sia negativa, il decreto Cura Italia prevede che il produttore deve cessare immediatamente la produzione e all’importatore è fatto divieto di immissione in commercio dei dispositivi.

Chiunque nell’esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale compia manovre speculative su merci, che alterino il mercato interno è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da 516 a 25.822 euro

Anche per le mascherine in questione, le farmacie sono tenute a controllare la presenza di marcatura Ce o le certificazioni in deroga dell’Inail. L’ordinanza del Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19, 9 aprile 2020, n. 9, ha consentito la vendita al dettaglio di dispositivi di protezione individuale da parte delle farmacie ubicate nell’intero territorio nazionale, anche in assenza degli imballaggi di riferimento, con le opportune cautele igieniche e sanitarie adottate a cura del venditore. La vendita al dettaglio anche di una sola unità di dispositivi senza imballaggi di riferimento deve prevedere un prezzo inferiore o pari all’importo previsto per la singola confezione diviso il numero dei dispositivi presenti nella medesima. Per procedere all’apertura delle confezioni, ciascuna farmacia garantisce il rispetto delle corrette operazioni da svolgere nel proprio laboratorio. In particolare, ciascuna farmacia deve valutare i fattori che garantiscano la preservazione della qualità microbiologica di ciascun dispositivo, al fine di mantenere sotto controllo le fonti di contaminazione. Tra questi fattori devono essere considerati il materiale di confezionamento primario, le attrezzature di lavoro utilizzate e il personale. Dunque, dovrà essere garantito il rispetto delle necessarie cautele igienico-sanitarie, per cui ciascuna farmacia deve provvedere all’adozione di misure di precauzione standard da parte del proprio personale, quali igiene delle mani (mediante prodotti idroalcolici oppure lavaggio con acqua e sapone), igiene respiratoria (mediante utilizzo di mascherine facciali) e uso di guanti e camice. Ogni farmacia, per la tracciatura delle operazioni svolte, deve provvedere alla conservazione delle informazioni circa la confezione integra (denominazione, nome del produttore e/o distributore, quantità, data di arrivo e, ove disponibile, numero di lotto) e dell’allestimento (numero confezioni e numero di dispositivi inserite in ciascuna di esse).

L’ordinanza n. 9/2020 prevede anche che la vendita al dettaglio, anche di una sola unità, di dispositivi senza imballaggi di riferimento deve prevedere un prezzo inferiore o pari all’importo previsto per la singola confezione diviso il numero dei prodotti presenti nella medesima. Per le vendite al dettaglio dei dispositivi di protezione individuale, ai sensi del D.Lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo), devono essere fornite ai consumatori alcune informazioni. Tali informazioni possono essere fornite con modalità semplificate adottate a cura di ciascuna farmacia, anche mediante apposizione su un apposito cartello esposto nei locali di vendita. L’ordinanza n. 9/2020 ricorda che, ai sensi dell’art. 501-bis, codice penale, chiunque, nell’esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale, compia manovre speculative su merci in modo da alterare il mercato interno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 516 euro a 25.822 euro. Pertanto, è vietato variare nel tempo, in modo sproporzionato e ingiustificato, il prezzo di cessione di prodotti acquistati alle medesime condizioni nella stessa fornitura, approfittando dell’aumento della domanda degli stessi e di particolari situazioni contingenti, quando questo possa comportare un danno all’economia nazionale. Come chiarito dalla Corte di Cassazione, nella sentenza 27 ottobre 1989, n. 14534, la locuzione “mercato interno”, contenuta nell’art. 501-bis, codice penale, rende configurabile la fattispecie di reato anche quando la manovra speculativa non si riflette su tutto il mercato nazionale, ma soltanto su un “mercato locale”, purché si tratti di una zona abbastanza ampia del territorio dello Stato, in modo da poter nuocere alla pubblica economia. Inoltre, salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione delle disposizioni contenute nell’ordinanza n. 9/2020 è punita, ai sensi dell’art. 650, codice penale (Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità) con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro.

Le mascherine “comuni”

Tutte le altre mascherine diverse da quelle sopra elencate (che non sono, quindi, né un dispositivo medico né un dispositivo di protezione individuale) possono essere comunque prodotte, ai sensi dell’art. 16, comma 2, decreto Cura Italia, ma non possono essere utilizzate in ambiente ospedaliero o assistenziale. Queste mascherine possono essere commercializzate anche dalle farmacie, le quali devono comunque evidenziare chiaramente al pubblico che non si tratta né di dispositivi medici né di dispositivi di protezione individuale. Inoltre, le farmacie devono acquisire dal produttore tutta la relativa documentazione tecnica attestante la sicurezza del prodotto e una dichiarazione scritta del fornitore di conformità all’art. 16, comma 2, decreto Cura Italia.