Tutti i segreti del prelievo capillare

Numerosi test effettuati hanno evidenziato come, la maggior parte degli errori finali sulla quantificazione degli analiti nei Point Of Care Testing e nelle farmacie, deriva principalmente dall’operazione di prelievo capillare da digitopuntura, soprattutto per parametri influenzati da emolisi o da rottura tissutale nel sito del prelievo come il tempo di protrombina, l’emoglobina o la conta piastrinica (Greenland, 1988).

Questo è il motivo principale che deve spingere i farmacisti non tanto a concentrare la possibilità di errore sullo strumento, ma soprattutto sul loro metodo di campionamento capillare.

L’elemento cruciale, la raccolta del campione

La raccolta del sangue con metodo capillare può essere effettuata con due tipologie di capillari: “capillari per uso diretto” e capillari muniti di “tappo provetta”, o chiamati anche a “tunnel”. I primi si utilizzano quando il campione viene direttamente riversato nello strumento o sul sistema a rotore di analisi con un meccanismo a spinta dato da un pistone manuale. Il secondo tipo viene utilizzato quando lo strumento “aspira” dalla provetta ottenuta la quantità pretarata di campione da analizzare, dopo che l’operatore ha rimosso il “tunnel”. Il primo tipo di capillare viene utilizzato soprattutto in chimica clinica e la sua superficie interna è ricoperta di anticoagulante eparinico, il secondo tipo viene usato in ematologia e sul fondo della provetta si troverà come anticoagulante l’EDTA. La tecnica migliore per effettuare il prelievo è:

Utilizzando sempre le opportune precauzioni quali guanti e occhiali, l’operatore disinfetta con un opportuno disinfettante, inerte ai fini dell’analisi, e attende la completa asciugatura del liquido. Successivamente, crea un piccolo foro mediante un sistema a lancetta sulla parte laterale del polpastrello preferibilmente del dito medio o anulare di una delle due mani.

È importante cercare di pungere il polpastrello nella sua parte più rosea e tra tutti polpastrelli bisogna ricercare il più irrorato, quindi il più rosso.

Nel momento della puntura è importante che mediante la “presa”, le dita dell’operatore  creino una sorta di “cuscinetto di carne” sotto al pungidito, in modo da tagliare in modo ottimale la rete di capillari. Il pungidito non va mai premuto sul dito, in quanto il capillare non verrebbe tagliato nella sua forma piena, ma schiacciata e non irrorata.

Ideale è scaldare leggermente la mano prima della puntura, al fine di ottenere un abbondante microcircolo e rendere più facile l’uscita del sangue evitando in questo modo eccessive manovre di spremitura.

La prima goccia di sangue che esce dalla micro ferita dopo puntura con la lancetta, viene asciugata senza includerla nel campione d’analisi, in quanto potrebbe contenere una quota eccessiva di fluidi tissutali.

Il flusso in uscita viene mantenuto ponendo sempre la mano del paziente più in basso rispetto al livello del cuore. Per facilitare l’uscita si applicano leggerissime forze nelle aree circostanti sul polpastrello, senza mai eseguire un effetto di “mungitura”, che crea alterazioni sulla concentrazione di cellule ematiche, oltre che indurre emolisi.