Dolori reumatici: trattarli con la fitoterapia

Un italiano su dieci soffre di dolori reumatici, una definizione alquanto generica che comprende più di 100 disturbi diversi, che colpiscono per lo più le articolazioni 

Per quanto sia fondamentale ribadire, per la complessità dei dolori reumatici, che la terapia rimane di esclusiva competenza del medico o ancor meglio del reumatologo, può essere utile valutare quella che si potrebbe definire la “proposta” della fitoterapia nel trattamento delle forme reumatiche. Pur non sottovalutando le potenzialità delle piante medicinali anche nel trattamento dello stato acuto, innegabilmente uno dei limiti della fitoterapia consiste, molto spesso, nella velocità d’azione che ne limita l’efficacia sul breve periodo, ma che le consente, per l’estrema tollerabilità che la caratterizza, di ottenere la compliance del paziente sul lungo periodo, dettaglio fondamentale nel caso di patologie ad andamento cronico come i reumatismi.

dolori reumatici
Gli effetti benefici di alcune piante, tra le quali ad esempio il tarassaco, possono aiutare a contrastare i dolori reumatici

Le piante giuste

Nel complesso, le piante utili nel trattamento dei dolori reumatici e delle patologie dell’apparato osteo-articolare devono possedere la capacità di intervenire sull’insieme dei fattori che contribuiscono a creare il quadro patologico. Essenziale pensare, quindi, alle due componenti fondamentali del problema: l’infiammazione e il dolore. Assolvono a questa funzione le piante caratterizzate, nel fitocomplesso, dalla presenza di specifici gruppi di principi attivi, alcuni eterosidi antrachinonici e salicilici, alcaloidi  e glicosidi iridoidi. Tra le piante a salicilati o meglio a “glicosidi salicilici” si distinguono, per efficacia, non solo il salice (Salix alba), che affonda le sue radici nella più tradizionale conoscenza della farmacognosia e della farmacologia, ma anche piante di introduzione più recente come l’olmaria (Spiraea ulmaria), la Gaultheria procumbens e la Boswellia. I glicosidi salicilici presenti nel fitocomplesso di queste piante sono capaci di fornire in vivo, in seguito a processi di idrolisi, derivati a nota attività antinfiammatoria e antireumatica come il salicilato di metile o l’acido salicilico. Tutte queste piante basano la propria efficacia sull’attività terapeutica dei salicilati, capaci di inibire direttamente la sintesi delle prostaglandine: il meccanismo d’azione prevede, infatti, il blocco del processo della cicloossigenasi dal quale dipende l’esclusione della formazione degli endoperossidi ciclici, diretti precursori delle prostaglandine. Essendo queste ultime mediatori coinvolti nei processi di termoregolazione e dell’infiammazione, risulta così giustificata l’azione antipiretica, antiflogistica e analgesica delle piante contenenti salicilati.

Parliamo, invece, di glicosidi iridoidi, con il caso dell’Harpagophytum procumbens, meglio conosciuto come “artiglio del diavolo” per la singolare forma dei suoi frutti: si tratta di sostanze amaroidi come l’arpagide, l’arpagoside e la procumbide, molecole iridoidi dotate di proprietà antireumatiche e antiflogistiche simili a quelle dell’indometacina e del fenilbutazone, ma prive degli effetti collaterali dei FANS. Il meccanismo d’azione sembrerebbe legato all’azione diretta della pianta a livello delle terminazioni nervose periarticolari (dove riduce la sensibilità), ma anche sulla riduzione della liberazione e, quindi, la concentrazione ematica di sostanze pirogene come le chinine e le prostaglandine.  Indicato nel trattamento delle malattie degenerative dell’apparato muscolo scheletrico e locomotore, come nei dolori articolari in genere, l’Harpagophytum può essere assunto in estratto secco o tintura madre anche per lunghi periodi, senza dare luogo a effetti indesiderati. È bene non dimenticare che, però, come tutte le piante caratterizzate da principi attivi amari, l’uso della pianta è sconsigliato nei soggetti affetti da ulcera gastrica, gastrite o ulcera duodenale, come pure in gravidanza (può causare contrazioni uterine). Più recente l’introduzione in terapia della Boswellia serrata (Incenso): i principi attivi responsabili dell’efficacia, contenuti nell’essudato resinoso ottenuto per incisione dalla corteccia, sarebbero i suoi acidi boswellici, in grado di inibire l’attività di un enzima responsabile della sintesi dei leucotrieni (5-lipoossigenasi), importanti mediatori chimici dei processi infiammatori articolari. Dati clinici forniti da sperimentazione su pazienti volontari affetti da osteoartrite hanno messo in evidenza  la capacità della pianta di ridurre non solo la sensazione di dolore, ma anche la rigidità mattutina tipiche di queste patologie infiammatorie.

Non solo piante antinfiammatorie

Contrariamente a quanto avviene per il farmaco tradizionale, non sempre l’efficacia della pianta è legata a un diretto meccanismo antinfiammatorio: infatti, le alterazioni osteo-articolari sono solo una manifestazione “evidente” di un processo patologico che colpisce l’organismo a livello generale, coinvolgendo con profonde alterazioni il metabolismo nella sua complessità, i processi cellulari e tissutali e il ricambio dei fluidi. Quindi, ciascuna pianta, scelta in base alla considerazione del singolo caso, mira a risolvere una serie di problematiche strettamente connesse alla patologia osteo-articolare. Diverse le piante degne di nota, dalla liquirizia al rabarbaro, ma interessante si rivela l’uso, soprattutto in concomitanza con i cambi stagionali, di piante come il tarassaco o l’ortica. Il tarassaco (Taraxacum officinale) ha come punto d’azione il tessuto interstiziale, la cui funzionalità viene stimolata insieme a quella di fegato e reni, con relativo aumento della diuresi e della coleresi: ricorrere a cure stagionali di 4-6 settimane in primavera e autunno a base di tarassaco riduce notevolmente la rigidità delle articolazioni, che divengono più mobili e meno soggette alla formazione di nuove lesioni. Considerata prevalentemente un diuretico, l’ortica (Urtica dioica) si rivela quale valido rimedio contro il reumatismo e la gotta. Gli estratti d’ortica si rivelano preziosi, quindi, nel favorire l’eliminazione degli acidi urici dai tessuti, fornendo sollievo alla sintomatologia dolorosa legata alla presenza dei cristalli. La forma di assunzione ideale per questi rimedi si rivela quella più classica: l’infuso, che assicura il corretto apporto di liquidi utile al “drenaggio” tessutale e il ricambio di fluidi.