Uno studio recentemente pubblicato su Nature Genetics ha scoperto che 42 regioni del Dna, mai associate prima d’ora all’Alzheimer, sono in realtà collegate al rischio di malattia. La scoperta apre la via a nuovi scenari e terapie

A livello italiano la demenza interessa oltre 1,2 milioni di persone, numero in preoccupante crescita: stando alle stime più accreditate, si tratterà di 1,6 milioni nel 2030 e quasi 2,3 milioni nel 2050, con un impatto grave sia economico sia sociale.

Alla luce di questi dati, Federfarma ha avviato un confronto con Federazione Alzheimer, organizzazione nazionale non profit dedicata alla promozione della ricerca medica e scientifica sulle cause, la cura e l’assistenza per le demenze, al supporto e al sostegno delle persone con demenza e dei loro familiari. Grazie alla loro estrema capillarità, con oltre 19mila presidi sul territorio nazionale, e alla loro grande professionalità, le farmacie possono difatti svolgere una importante funzione di supporto e orientamento per i pazienti e le loro famiglie.

L’importanza della ricerca

La ricerca resta, tuttavia, il più importante tassello per la prevenzione e la lotta a malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Proprio da una recente ricerca, coordinata dall’Istituto nazionale francese per la ricerca su salute e medicina (Inserm), l’Università di Lille, l’Istituto Pasteur e l’Ospedale Universitario di Lille, cui hanno partecipato anche moltissimi atenei e centri di ricerca italiani, fra i quali le Università di Firenze, Milano e Milano-Bicocca, Bari, Perugia, Torino, l’Irccs Fondazione Santa Lucia e il Policlinico Gemelli, sembrano aprirsi nuovi importanti scenari per la ricerca di nuove terapie e quindi la cura della malattia.

Sulla base dello studio condotto, pubblicato sulla rivista Nature Genetics, esistono 42 regioni del Dna che sembrano coinvolte nel rischio di malattia e che non erano mai state collegate all’Alzheimer prima d’ora.

Alcune evidenze

Oltre al ruolo dell’accumulo nel cervello della proteina beta-amiloide e alla degenerazione della proteina Tau, due processi, questi, associati da tempo all’insorgenza dell’Alzheimer, i risultati hanno posto l’attenzione anche su disfunzioni innate del sistema immunitario e della microglia, cioè di cellule immunitarie che svolgono il ruolo di ‘spazzini’ del sistema nervoso centrale, così come su molecole implicate nella risposta infiammatoria dovuta a lesioni dei tessuti.