I farmaci per le malattie croniche vengono consumati maggiormente nelle aree più svantaggiate, probabilmente a causa del peggiore stato di salute, cui potrebbero essere associati stili di vita non corretti. Sono questi alcuni risultati dell’Atlante delle disuguaglianze sociali nell’uso dei farmaci per la cura delle principali malattie croniche curato da Aifa
L’utilizzo di farmaci è un elemento fortemente rappresentativo dello stato di salute della popolazione, anche se fino a oggi non erano stati condotti studi che correlassero il loro utilizzo alla condizione socio-economica dei pazienti. L’Atlante delle disuguaglianze sociali nell’uso dei farmaci per la cura delle principali malattie croniche recentemente pubblicato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) si configura, pertanto, come una prima pubblicazione prodotta sul tema della disparità sociale nell’ambito dell’assistenza farmaceutica in Italia.
Obiettivo dell’indagine è stato quello di fornire una fotografia della situazione sia nazionale sia territoriale sull’utilizzo dei farmaci per gruppi che si differenziano tra loro quanto a livelli di deprivazione socio-economica. Tra le variabili considerate, attraverso l’indicatore composito definito “indice di deprivazione”: l’istruzione, l’occupazione, la composizione del nucleo familiare, la densità e la condizione abitativa della popolazione in studio.
Atlante delle disuguaglianze, i principali risultati
L’Atlante analizza i dati di prescrizione farmaceutica territoriale a carico del sistema sanitario nazionale di farmaci per il trattamento di:
- ipertensione;
- dislipidemie;
- ipo e iper-tiroidismo;
- depressione;
- demenza;
- morbo di Parkinson;
- osteoporosi;
- ipertrofia prostatica benigna;
- iperuricemia e gotta;
- diabete;
- broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco).
Dall’analisi condotta emerge che le aree più deprivate sono quelle che mostrano i più alti tassi di consumo pro-capite di farmaci. Si tratta di un fenomeno evidente per quasi tutte le condizioni analizzate, in modo particolare per patologie come diabete, ipertensione, dislipidemie, iperuricemia e gotta e osteoporosi.
Antipertensivi e ipolipemizzanti sono in assoluto le categorie che mostrano i maggiori tassi di consumo, seguite dai farmaci per l’ipertrofia prostatica benigna negli uomini e di antidepressivi nelle donne. A livello territoriale, gli uomini mostrano consumi più elevati in quasi tutte le province italiane e per tutte le patologie considerate. Fanno eccezione solo gli antidepressivi e i farmaci per il trattamento della tiroide e dell’osteoporosi, che vedono in prima linea le donne.
Essendo il nostro sistema sanitario un sistema universalistico, appare evidente che la discriminante non sia lo status socio-economico della popolazione in esame, quanto piuttosto la condizione di salute associata al proprio status. Il consumo dei farmaci è infatti più elevato tra i soggetti residenti nelle aree più svantaggiate, verosimilmente a causa del peggiore stato di salute associato a scorretti stili di vita. Correlazioni di questo tipo invece non emergono analizzando l’aderenza e la persistenza al trattamento.
Dal punto di vista geografico, invece, l’Atlante evidenzia livelli di consumo generalmente più alti, per tutte le categorie di farmaci considerati, al Sud e nelle Isole. Diversamente, il Nord primeggia per consumo di antidepressivi. I farmaci contro la demenza riscontrano un consumo più significativo nelle aree del centro Italia.
Aderenza e persistenza alle terapie
Dall’analisi di Aifa emerge che i livelli di aderenza e persistenza sono decrescenti da Nord a Sud. Mediamente le donne sono meno aderenti degli uomini ad eccezione che per il trattamento dell’osteoporosi. Più in generale, l’aderenza è più alta laddove minore è la deprivazione. Le terapie per le quali l’aderenza è risultata maggiore sono quelle per l’osteoporosi e per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna, rispettivamente al 70% e 62%. Di contro, per le altre categorie analizzate l’aderenza risulta estremamente bassa, talvolta inferiore al 20%.
Per quanto riguarda invece la persistenza, i soggetti ancora in trattamento a 12 mesi dall’inizio della terapia sono superiori al 50% solo nel caso dei farmaci antipertensivi, ipolipemizzanti e antidemenza negli uomini, e nel caso dei farmaci antidemenza e antiosteoporotici nelle donne. Anche per la persistenza, proprio come per l’aderenza, le performance delle donne sono peggiori di quelle degli uomini.